Al momento, sul vertice di Helsinki fra Trump e Putin ci si può basare solo sulle informazioni fornite ai media durante la conferenza stampa e su quanto emerso al Congresso Usa. Per il resto, solo indiscrezioni non confermate. Diplomaziaitaliana offre alcuni spunti di riflessione, in attesa di sviluppi concreti nei rapporti fra Washington e Mosca che potrebbero essere di natura generale o riguardare focolai di crisi, come l’Ucraina o la Siria.
Il tentativo di condizionare o far fallire il vertice di Helsinki sembra essere fallito
Il primo dato che emerge in relazione al vertice di Helsinki è il clima della vigilia negli Stati Uniti, dove l’establishment politico-mediatico ha lanciato una massiccia campagna per condizionare l’azione di Trump. E financo di creare le condizioni per far fallire il meeting. In un crescendo rossiniano sono nuovamente esplose: le ipotesi di collusione per le asserite ingerenze di Mosca nelle presidenziali Usa del 2016; le critiche di mollezza nei confronti della politica assertiva della Russia; l’accusa di chiudere gli occhi sulla questione dell’Ucraina e sui diritti umani, compromettendo così la “leadership morale” di Washington. Insomma, Trump incapace. O pavido. O addirittura traditore.
Benché si sappia poco su contenuto e clima dell’incontro, questa strategia sembra aver fallito. Sia Trump che Putin, seppur velatamente, hanno infatti lasciato trapelare una certa soddisfazione per i colloqui, così come per il rapporto personale. La sensazione che emerge è che si fidino l’uno dell’altro, che da un loro rapporto diretto possano emergere positive sorprese, nella direzione di un miglioramento dei rapporti russo-americani.
Porre fine alla nuova Guerra Fredda fra Usa e Russia è interesse di tutti
È convinzione di Diplomaziaitaliana che Stati Uniti e Russia debbano abbassare il livello di tensione. Si è già detto che il clima di nuova Guerra Fredda fra Washington e Mosca è pericoloso. Esso si riverbera sull’azione degli Stati, sulla militarizzazione del linguaggio politico, sulla narrativa dei media e, quel che è peggio, sulle coscienze collettive dei popoli. È un clima che favorisce un’escalation di azioni e reazioni muscolari. Un clima patologico che deve avere termine.
È positivo che i due leader si siano incontrati. Non sempre i summit sono decisivi sotto il profilo dei risultati politici. Nondimeno, essi sono essenziali per stabilire un clima di fiducia e forme di collaborazione diretta fra i grandi del mondo. E, da quanto si riesce ad intuire, Trump ha un forte bisogno di avere un rapporto diretto con Putin, anche per emanciparsi dai condizionamenti di influenti frange dello stato profondo Usa, la cui agenda politica non va necessariamente nella direzione di un allentamento della tensione con Mosca.
Positivo, soprattutto, che già al vertice di Helsinki i due leader abbiano programmato un altro summit a Washington il prossimo autunno. Questo fa ritenere che Trump e Putin intendono continuare la politica del dialogo. In questo senso, forse non è azzardato pensare che proprio al summit di Washington il dialogo Trump-Putin potrebbe avere i primi risultati concreti. Secondo fonti della Casa Bianca, a Washington saranno sul tavolo questioni scottanti: proliferazione nucleare, Iran, Siria e la vexata quaestio delle interferenze del Cremlino nella campagna elettorale Usa. La sensazione è che Trump intenda affrontare quest’ultimo tema più per motivi politici interni. Ad ogni modo è opportuno attendere sviluppi.
È essenziale che Usa e Russia mantengano aperti i canali di dialogo
Certo è, però, che i temi che saranno in agenda al summit di Washington rivestono per entrambi i paesi massima sensibilità politica. Qualora a Washington Trump e Putin dovessero convenire su formule di soluzione anche di una sola di queste questioni, questo sarebbe un marcatore del sensibile miglioramento dei rapporti bilaterali Usa-Russia.
C’è, infine, un altro punto da tenere a mente. Pochi mesi orsono, gli Stati Uniti hanno reso nota la loro nuova Strategia di sicurezza nazionale. Il rapporto, firmato dal segretario alla Difesa, James Mattis, individua la competizione strategica fra Stati quale principale minaccia alla sicurezza nazionale Usa. Inoltre, il documento designa come minacce Russia e Cina, “potenze revisioniste” desiderose di mutare a loro vantaggio lo status quo e i rapporti di forza internazionali. E, così, di portare una minaccia strategica all’egemonia globale americana.
Di conseguenza, da un lato gli Stati Uniti devono oggi porre rimedio a diverse crisi che li vedono contrapposti alla Russia, come in Siria oppure in Ucraina. Crisi costose, sul piano politico ed economico, che in un’ottica di realpolitik Washington avrebbe interesse a chiudere, ma non è in grado di farlo unilateralmente. Anzi, nell’attuale cornice politica, in quei teatri oggi è proprio Mosca a dare le carte.
Pertanto, sarebbe ragionevole che nel prossimo futuro Casa Bianca e Cremlino collaborino per risolvere queste crisi, il cui protrarsi è intrinsecamente pericoloso, anche in chiave di sicurezza globale.
Dall’altro, gli Usa corrono il rischio di un allineamento strategico fra Russia e Cina: ciò avrebbe per conseguenza la nascita di un immenso polo di potere geopolitico capace di alterare in modo sistemico lo status quo e i rapporti di forza internazionali, a tutto svantaggio degli Stati Uniti.
Uno dei principali problemi geopolitici della talassocrazia americana è sempre stato quello di impedire la nascita di un’Europa euro-russa unita dall’Atlantico agli Urali: una superpotenza che potrebbe contare sull’organizzazione e sul capitale europeo e sulle risorse naturali russe.
Per analogia, un’alleanza strategica fra Russia e Cina costituirebbe per gli Usa un incubo geopolitico di non minore portata: la nascita di un polo di potere egemone in Asia e – in prospettiva – nel Pacifico, vale a dire alle porte degli Stati Uniti. Un mutamento dei rapporti di forza che non potrebbe essere riequilibrato nemmeno con il rafforzamento militare di Giappone, Corea del Sud e Taiwan: uno scenario, questo, che prevedibilmente provocherebbe un pericoloso, generalizzato riarmo in tutto lo scacchiere asiatico.
In altri termini, alla luce di questi scenari l’allentamento della tensione fra Washington e Mosca è necessario ed auspicabile.
Realpolitik vorrebbe un abbassamento della tensione fra Usa e Russia, ma non bisogna farlo sapere troppo
Se è presumibile che il vertice di Helsinki sia servito a Trump e Putin per rafforzare il dialogo e iniziare a costruire un rapporto di fiducia, il summit che si terrà il prossimo autunno a Washington potrebbe a sorpresa produrre soluzioni per spegnere alcuni focolai di crisi internazionali.
A sorpresa non tanto perché alla Casa Bianca e al Cremlino manchi la volontà di ricondurre i rapporti bilaterali in una cornice di normalità. Il problema sembra semmai essere costituito da alcune correnti della politica americana, sia nel Partito Repubblicano sia in quello Democratico, e di alcuni segmenti dello stato profondo Usa: negli ultimi anni, questi poteri hanno favorito una politica estera che ha portato indietro di un quarto di secolo i rapporti Usa-Russia e ha destabilizzato interi paesi, come in Medio Oriente. E questi poteri oggi non vogliono mollare la presa.
I tentativi di boicottare il vertice di Helsinki devono far pensare. Se alla vigilia di un summit dal quale nessun osservatore dell’attualità internazionale si attendeva grandi risultati si è orchestrata una campagna così virulenta, quali forme di boicottaggio e condizionamento sarebbe lecito attendersi se il vertice di Washington fosse preceduto da grandi aspettative?
A parere di Diplomazia italiana questo potrebbe spiegare il perché del riserbo che continua a circondare le questioni sul tavolo al vertice di Helsinki. E può indurre a pensare che le diplomazie di Washington e Mosca continueranno a lavorare sottotraccia, cercando di limitare pericolose interferenze, fino a quando non avranno la certezza di portare a casa risultati concreti.