Il catastrofico risultato del Consiglio europeo sul covid-19 – unico accordo quello di rinviare di due settimane ogni decisione sull’emergenza Coronavirus – ha messo a nudo ancora una volta l’incapacità dell’Unione europea di governare le sfide globali. Un ulteriore, drammatico segnale della perdurante impasse politica in cui si dibatte il processo di integrazione del Vecchio Continente.
Consiglio europeo, al cuore dello scontro la garanzia del debito
Il Consiglio è stato teatro di una inconciliabile contrapposizione fra nazioni del Sudeuropa e quelle del Nordeuropa. Oggetto del contendere, come prevedibile, la questione della garanzia del debito che i paesi dovranno contrarre per finanziare la spesa pubblica necessaria per contrastare la recessione alle porte.
Preso atto dell’inflessibilità del fronte rigorista, i paesi del sud hanno bloccato l’adozione delle conclusioni del Consiglio. Inoltre, hanno chiesto ai rappresentanti delle cinque principali istituzioni Ue di di predisporre un progetto di proposta. Di qui, il rinvio di due settimane, che lascia i cittadini europei alla mercé del Coronavirus oggi e della recessione domani.
L’Europa del sud può contare sulla Francia? Lecito avere riserve
La Francia, anch’essa firmataria della lettera all’Ue a favore degli eurobond, resta per ora nel campo del sud. Questo non deve sorprendere. La Francia potrebbe aver bisogno di fare spesa pubblica persino più dell’Italia, che vanta un apparato industriale più dinamico e minori tensioni interne. Naturale, quindi, che Parigi abbia esigenza di spendere senza assoggettarsi a clausole capestro e alla Troika.
Tuttavia, è lecito chiedersi se la scelta di campo della Francia abbia natura strategica o tattica. E non solo perché da Parigi cominciano ad arrivare segnali ambigui sul Mes. Con buona pace di politici e osservatori nostrani, anche sull’economia l’asse franco-tedesco è un punto fermo della politica europea. Ogni volta che ha ottenuto le deroghe ai suoi deficit di bilancio, Parigi ha sempre finito per allinearsi a Berlino e al dogma dell’austerità… Per gli altri. Considerata questa costante storica, non è da escludersi che per rompere il blocco del Sudeuropa alcune cancellerie pensino a misure sottobanco che consentano a Parigi di sfilarsi.
Il governo M5S-Pd va al tappeto: la Troika è più vicina
Intanto, l’esito del Consiglio europeo ha tutta l’aria di una sconfitta per il governo Conte, che certa stampa ha tentato di minimizzare. Di qui le indiscrezioni su un premier pugnace, costantemente “all’attacco”, che avrebbe persino sorpreso la Merkel, forse abituata ad atteggiamenti meno assertivi.
In realtà, a dispetto di pelosi quanto tardivi attestati di solidarietà, per l’Italia e i paesi meridionali Mes e Troika sono più vicini. Una catastrofe politica prima ancora che economica, che toglierebbe alle nazioni debitrici ogni margine di azione. Oltre ad aprire la porta alla Troika, infatti i prestiti del Mes creano a tutti gli effetti debito di diritto estero, che deve essere restituito in euro.
Uno scenario da incubo per l’Italia, che vedrebbe evaporare molte opzioni di politica estera. Non solo nei rapporti con l’Ue e le altre nazioni europee, ma anche con paesi terzi. Soprattutto, l’Italia si ritroverebbe agganciata in modo pressoché irreversibile all’eurozona. Infatti, il gravame di un ingente debito da rifondere in euro precluderebbe ogni ipotesi di abbandono della valuta europea e di ritorno a una valuta nazionale.
Il dilemma del Conte bis, sottomettere l’Italia alla Germania o minare il progetto-euro
Nel giro di settimane, al massimo di pochi mesi, l’Italia dovrà fare delle scelte decisive per il suo futuro come nazione. La contingenza sta infatti ponendo il governo M5S-Pd davanti alla responsabilità di sciogliere un nodo politico epocale. Sottomettere l’Italia alla Troika e, quindi, alla Germania oppure recuperare libertà di manovra, minando il progetto-euro tanto caro ai rigoristi del Nordeuropa.
In questa prospettiva, occorre valutare quanto sia credibile lo slogan “l’Italia farà da sé” a cui fanno spesso ricorso esponenti del governo. Primo, in seno alla maggioranza si continua a ritenere il Mes l’opzione migliore per l’Italia. Inoltre, a 30 anni dal trauma subito con la caduta del Muro di Berlino, un’Italia più autonoma dall’Ue sarebbe l’ammissione del naufragio della nomenklatura di un partito, il Pd, cui la realtà effettuale presenta oggi il salato conto della scelta impolitica fatta a metà anni ’90 di cercare nuovi padroni a Bruxelles in sostituzione di quelli vecchi di Mosca.
L’ombra di un Mes mascherato
Se si aggiunge che i cittadini italiani non potranno sostenere a lungo il costo del blocco di ogni attività economica, non si può escludere che il Conte bis finisca per ricorrere al Mes, magari in forma edulcorata per tacitare l’opinione pubblica. Questo scenario direbbe la parola definitiva sulla capacità di governo del M5S, che proprio sul netto rifiuto di una certa visione dell’Europa aveva costruito le sue fortune elettorali.
Le proposte delle autorità Ue saranno una cartina di tornasole. Uno scenario possibile è che l’Ue si pieghi ancora una volta alla Germania e ai suoi satelliti e metta sul tavolo un Mes mascherato. “Flessibilità sulla condizionalità“, “meccanismi leggeri di verifica”, “condizionalità light“, “linee di credito dedicate” oppure “ex post conditionality“: tutte formule per consentire al governo M5S-Pd di salvare la faccia. Saranno, soprattutto, il segnale che la Troika è alla porta.
Davanti alle tragedie della storia gli europei ora sanno cosa possono aspettarsi gli uni dagli altri
Le cause della lacerazione che si sta consumando fra Nordeuropa e Sudeuropa sono diverse. Politiche, economiche, elettorali. Persino religiose e culturali, se si osserva che la linea di faglia sembra passare proprio fra Europa protestante e calvinista e Europa cattolica. Aleggia, anche, la sgradevole impressione che alcuni stiano giocando a un pericoloso “gioco del pollo”, scommettendo che l’Europa del sud finirà per piegarsi. Possibile. Persino probabile, tenuto conto del quadro economico di alcuni paesi meridionali. Costoro non si rendono conto, tuttavia, che la loro miopia politica sta a posteriori dando ragione al popolo inglese, quando nel 2016 ha votato per il “leave”. E anche a Boris Johnson, che ha portato la Brexit a compimento a dispetto dell’approccio velleitariamente punitivo degli ottusi negoziatori della Commissione.
Con il Regno Unito fuori dalla casa comune, forse qualcuno crede che in Europa non ci sono altri paesi “too big to bully”. Forse pensa di ridefinire a suo vantaggio i rapporti di forza nell’Ue dopo la Brexit. E progetta di occupare e riorganizzare lo spazio politico abbandonato da Londra. Sia come sia, il desolante spettacolo visto sinora legittima il sospetto che alcuni, in primis la Germania, stiano cogliendo l’opportunità dell’emergenza per imporre le loro regole del gioco e, quindi, la loro egemonia in Europa.
Probabilmente senza rendersene conto sino in fondo, oggi sono costoro a giocare con il futuro del progetto europeo. Perché al termine della crisi, la cui intensità e durata nessuno è in grado di prevedere, il risultato sarà che i popoli europei saranno ancora più lontani dall’Ue di quanto già non lo siano. Perché ora sanno, gli europei, cosa possono aspettarsi gli uni dagli altri davanti alle tragedie della storia.
Unione europea, è crisi di legittimità: stanno venendo meno le ragioni che ci tengono insieme
Proprio a causa di questa ottusità politica, l’Unione europea è sul punto di perdere la principale sfida della sua storia. Scegliendo di prendersi due settimane di tempo mentre la conta delle vittime cresce di giorno in giorno, l’Ue ha abbandonato i popoli europei, precipitando in una crisi di legittimità.
A ben vedere, il problema non sono le ambizioni di alcune cancellerie o le differenze culturali. Non è la mutualizzazione del debito. Probabilmente non è nemmeno se Sudeuropa e Nordeuropa troveranno o no un accordo per uscire da questo squallido stallo. Il vero tema è che questa Europa di nani non riesce a comprendere né la magnitudo dell’uragano che sta per abbattersi sul Vecchio Continente né, soprattutto, l’essenza tragica delle sfide che le potenze devono affrontare.
Il dato politico è che in modo palese quanto drammatico in seno all’Unione europea stanno venendo meno le ragioni che ci tengono insieme. Nessun progetto ideale di ampio respiro. Nessuna crescita economica. Nessuna solidarietà. Rebus sic stantibus, difficile intravedere motivi – ideali o di interesse – per continuare a stare sotto lo stesso tetto. Sta giungendo il tempo di pensare un nuovo, più grande disegno per il Vecchio Continente, che ponga al centro il tema dell’Europa potenza e della tutela dei suoi popoli. Se l’Europa resta il nostro destino, di certi nani non si sente più il bisogno.