Medio Oriente, perché sempre guerre? L’analisi dell’Ambasciatore Carnelos

Il Medio Oriente, benché abitato in prevalenza da arabi, vede oggi i propri destini nelle mani di turchi, persiani ed ebrei; il tutto, con il concorso attivo o omissivo di potenze esterne come Stati Uniti e Russia. Uno spazio politico contendibile, il che spiega perché continua ad essere oggetto di tante crisi.

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Medio oriente guerra IrakPerché il Medio Oriente le guerre non finiscono mai? Questo l’interrogativo a cui la Diplomazia deve dare una risposta.

Medio Oriente, perché le guerre non finiscono mai?

Perché in Medio Oriente le guerre non finiscono mai? Questo il tema di uno specifico panel organizzato nel quadro del Festival di Limes sullo Stato del Mondo, organizzato dalla rivista di geopolitica Limes al Palazzo Ducale di Genova dal 3 al 6 maggio e aperto dal Presidente del Consiglio Gentiloni.

Circa il Medio Oriente, l’ex vice ministro degli Esteri Lapo Pistelli, ora vice presidente Eni, i giornalisti Marco Ansaldo e Lorenzo Trombetta hanno tentato di offrire una risposta insieme a Marco Carnelos, fino a pochi mesi fa ambasciatore in Iraq, unico membro della carriera diplomatica, ancorché ex, invitato a prendere la parola al Festival.

Il panel sul Medio Oriente ha preso le mosse proprio dal saggio sul Medio Oriente pubblicato da Carnelos nell’ultimo numero di Limes, intitolato: Le tre fasce della potenza di quel che resta del Medio Oriente. L’analisi di Carnelos delinea una visione geopolitica della regione suddivisa in tre sfere di influenza orizzontali:

  1. una turca neo-ottomana, riflesso delle ambizioni del presidente Erdogan su Siria e Iraq settentrionali in funzione anti-curda;
  2. una sciita animata dall’Iran che si sta consolidando da Teheran fino a Beirut passando per Baghdad e Damasco;
  3. una sunno-israeliana, che vede un inedito allineamento tra Israele e Paesi arabi sunniti (Egitto, Giordania e alcune monarchie del Golfo) asseritamente impegnate a contrastare le presunte ambizioni egemoniche sciite.

Secondo l’autore saranno le dinamiche geopolitiche tra queste tre sfere di influenza, in particolare tra quella sciita e quella sunno-israeliana, che scandiranno gli eventi in una regione che, benché abitata in prevalenza da arabi, vede paradossalmente turchi, persiani ed ebrei come i principali soggetti che ne stanno plasmando i destini; il tutto, naturalmente, con il concorso attivo o omissivo di potenze esterne come Stati Uniti e Russia.

Carnelos conclude con una previsione coraggiosa, secondo cui nel medio-lungo periodo sarà la fascia sciita animata dall’Iran, con una sorta di leading from behind da parte della Russia su alcuni dossier, ad avere la meglio per una serie di ragioni storiche, politiche, sociali e culturali.

Finora la previsione si è rivelata corretta per quanto riguarda il Libano, dove Hezbollah (parte dell’Asse sciita) ha riportato una significativa vittoria alle elezioni politiche di domenica 6 maggio.

Nel frattempo Trump ha già assunto l’attesa, ma comunque dirompente, decisione di ritirare gli Stati Uniti dal trattato JCPOA, per la limitazione del programma nucleare iraniano firmato nel 2015; un’ulteriore  conferma dell’apparente (capricciosa?) determinazione del nuovo Presidente Usa a smantellare qualsiasi lascito del suo predecessore a prescindere dal merito.

Mentre la tensione in Siria cresce, con l’intensificazione dei raid aerei israeliani, i tamburi di guerra in Medio Oriente rullano sempre più forti, mentre, purtroppo, le guerre sembrano non finire mai.

Colpisce, in questo quadro, un dato politico: per molti versi, i Paesi arabi continuano ad essere oggetti invece che attori di giochi diplomatici e militari che investono in modo durissimo il Medio Oriente.

Uno scacchiere martoriato, proprio perché continua ad essere uno spazio politico contendibile, sia con iniziative dirette, sia con azioni per procura: ciò che spiega, in buona misura, le ragioni per cui nella regione continuano a divampare incendi.

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