Strumenti del pensiero: Marshall, “Le 10 mappe che spiegano il mondo”

Marshall dimostra quanto sarebbe necessario un revival degli studi di geopolitica in Italia. E con essi l'emergere di una classe dirigente consapevole dei vincoli geopolitici italiani e dell'interesse nazionale. Una dirigenza che impari a fronteggiare le sfide poste dalla contingenza internazionale e a coglierne le opportunità.

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Le 10 mappe che spiegano il mondo

Per diverse ragioni, anche politiche, in Italia dopo la seconda Guerra Mondiale lo studio della geopolitica è passato in secondo piano. Eppure, la geografia ha un impatto decisivo sulla politica internazionale.Le 10 mappe che spiegano il mondo

Si pensi alle diverse opzioni politiche che la geografia offre alle nazioni marittime o ai land-locked states. O ai paesi ricchi di risorse naturali e, di converso, a quelli che ne sono poveri, come l’Italia o il Giappone. O, ancora, ai paesi in forte crescita demografica, come la Francia rivoluzionaria di fine XVIII secolo. Oppure al vantaggio delle nazioni insulari nel difendersi dall’epidemia di Covid-19.

Ogni Stato trae la sua politica dalla sua geografia

Un protagonista della storia come Napoleone, che aveva chiara la dimensione strategica della politica internazionale, soleva dire «tout État fait la politique de sa géographie».

Certo, anche Bonaparte ha commesso errori fatali proprio sul piano geopolitico. La guerriglia in Spagna, che per le truppe napoleoniche si rivelò un Vietnam ante litteram. Oppure l’invasione dell’immensa e gelida Russia, dove Napoleone si giocò – e perse – la Grande Armée.

Da un lato, questi errori strategici, che in ultima analisi hanno dissanguato le forze vive della Francia, sono all’origine della caduta finale dell’Empereur. Dall’altro, è altrettanto vero che essi dimostrano proprio la validità ultima dell’intuizione di Bonaparte.

L’impatto della geografia sulla civiltà e sulla politica

Con “Le 10 mappe che spiegano il mondo” l’autore britannico Tim Marshall mette in evidenza la complessità del rapporto fra geografia e relazioni internazionali.

I fattori geografici sono numerosi e interagiscono fra loro. La configurazione fisica – come le barriere naturali formate da montagne e reti fluviali; il clima; la composizione demografica della popolazione; la cultura; le risorse naturali.

L’interazione fra questi fattori incide in modo pressoché totale su quasi ogni aspetto dell’attività umana, impattando “su tanti aspetti diversi della nostra civiltà, della strategia politica allo sviluppo sociale, inclusi il linguaggio, il commercio e la religione”.

La geografia, vincolo per gli attori politici

Dallo studio di Marshall emerge un dato dal chiaro profilo politico: la geografia è contingenza. Essa costituisce un vincolo per gli attori politici. Ne condiziona le opzioni e le scelte.

“La configurazione geografica imprigiona i leader” – scrive Marshall – “lasciando loro meno alternative e meno spazio di manovra di quanto si potrebbe pensare”.

La geografia ha effetti su pressoché tutte le attività umane. Sulla politica, sull’economia, sulle società. Essa “ha influenzato le guerre, il potere, le vicende politiche e lo sviluppo sociale dei popoli che abitano attualmente quasi tutti gli angoli del mondo”.

Il vincolo geografico è una legge immutabile

Per Marshall questa è una legge immutabile, sulla quale nulla può lo scorrere del tempo. “Ciò valeva per l’impero ateniese, per i persiani, per i babilonesi e per gli altri popoli che li precedettero” – sostiene. “E vale per tutti i leader che cercano un’altura da cui proteggere la propria tribù”.

Certo, la tecnologia consente di manipolare lo spazio e il tempo. Basti pensare ai viaggi intercontinentali o a Internet. Di conseguenza, essa incide su come interagiscono gli esseri umani e sulle loro attività – e quindi anche sulla politica.

Tuttavia – osserva Marshall – la tecnologia non può eliminare il fattore-geografia dall’equazione politica: “le scelte di coloro che guidano gli oltre sette miliardi di abitanti di questo pianeta saranno sempre influenzate dai fiumi, dalle montagne, dai deserti, dai laghi e dai mari che condizionano tutti noi – come hanno sempre fatto”.

L’Europa, un optimum geopolitico e i suoi limiti

La geografia spiega il successo storico così come la complessità dell’Europa. Clima mite tutto l’anno. Agricoltura florida. Fiumi navigabili fatti per il commercio, che sfociano in una varietà di mari e oceani dalle coste ricche di porti naturali. Tutti questi fattori hanno addirittura inciso sulla qualità del capitale umano e delle idee. “Raccolti abbondanti” – osserva Marshall – “vogliono dire anche surplus alimentari da mettere in commercio; e centri di interscambio che poi diventano cittadine. Permettono inoltre alla gente di guardare al di là della mera attività agricola e di sviluppare nuove idee e nuove tecnologie”.

E, anche, catene montuose, valli, fiumi che non si incontrano: ciò ha favorito il grande numero di stati-nazione in Europa e ha facilitato la resistenza ai disegni egemonici e di unificazione politica del continente susseguitisi nel corso della storia.

Dopo il suo successo iniziale, il progetto di integrazione europea, che voleva risolvere la “questione tedesca”, segna il passo. Indebolita dall’uscita del Regno Unito, l’Unione europea ha oggi per azionista di maggioranza proprio la Germania, che “parla pacatamente ma tiene in mano un grosso bastone a forma di euro”.

Ed è proprio Berlino, con la miope ricetta “austerità + deflazione” imposta ai suoi partner, a minare la coesione europea: “la crisi dell’euro e i problemi economici di più vasta portata hanno messo in mostra le crepe che si stanno formando nella «Casa d’Europa» (principalmente lungo la vecchia faglia che divide il Nord dal Sud)”. Il fallimento del progetto Ue avrebbe ripercussioni epocali sugli equilibri internazionali. In particolare, restituirebbe alla Germania una libertà d’azione che, in passato, ha dato prova di non saper gestire, con conseguenze catastrofiche per l’Europa e per il mondo.

La “prigione geografica” della Russia

La Russia presenta due vulnerabilità. La prima è la sua vastità, che soprattutto nella sua parte europea la espone alle invasioni attraverso il corridoio polacco e le pianure ucraine. Questo dato geopolitico spiega l’irrigidimento di Mosca in occasione della crisi ucraina nel 2013 e, in generale, la preoccupazione russa per il progressivo allargamento della Nato ai paesi dell’Europa orientale.

La seconda vulnerabilità della Russia è costituita dal clima rigido e dall’assenza di porti sugli oceani e sui mari caldi. Un vincolo, questo, sia alla proiezione di potenza militare sia al commercio, che limita i margini d’azione internazionale di Mosca.

Per dirlo con le parole di Marshall, la Russia è reclusa in una “prigione geografica” che le preclude l’accesso alle rotte oceaniche, impedendole in ultima analisi di assurgere al ruolo di potenza globale.

La Cina sta entrando nell’era della proiezione di potenza

Di converso, raggiunti i suoi confini naturali la Cina ha maturato la convinzione di essere ormai protetta dalle sue caratteristiche geografiche, che si prestano a una efficace difesa e al commercio.

Sistemati i suoi problemi sulla terraferma, la sfida per Pechino diventa assicurarsi il controllo delle rotte marittime necessarie per esportare i propri prodotti e per assicurarsi energia e materie prime.

In quest’ottica, una volta acquisito il controllo dei vicini Mar Cinese Orientale e Mar Cinese Meridionale è logico attendersi che la Cina si dia l’obiettivo di rafforzare la sua proiezione di potenza su due oceani, il Pacifico e l’Indiano, sviluppando una marina oceanica. Una linea politica, questa, destinata ad alimentare le tensioni con i vicini e con la potenza egemone del Pacifico, gli Stati Uniti.

Usa, una posizione geopolitica ottimale

Vista attraverso il prisma della geopolitica, quella americana è una storia di accorte decisioni di espansione in regioni-chiave, che hanno permesso agli Stati Uniti di diventare una superpotenza e di dominare due oceani.

Un paese senza vicini potenti, dai chiari confini naturali, fertile, ricco di risorse, solcato da fiumi navigabili. Una vastissima profondità strategica, linee di comunicazioni interne che hanno favorito il mercato domestico, porti su due oceani. “La geografia aveva stabilito che se un’entità politica fosse riuscita a conquistare, e poi a controllare, quella terra che va «dal mare al mare scintillante» sarebbe stata una grande potenza, la più grande della storia”.

Per Marshall, sotto il profilo geopolitico solo tre attori possono minacciare l’egemonia americana: un’Europa unita, la Russia e la Cina. Tuttavia, l’Ue come progetto politico sta “svanendo lentamente”. Inoltre, le sue modeste spese militari rendono Bruxelles dipendente da Washington. La Russia non dispone di porti agibili tutto l’anno per accedere alle rotte globali e, in caso di guerra, non ha la capacità militare di raggiungere l’Atlantico attraverso il Baltico e il Mare del Nord, o il Mediterraneo attraverso il Mar Nero. La Cina è in ascesa, ma sul piano militare e strategico è “indietro di decenni”. Nondimeno, considerata l’impetuosa crescita cinese, si può concludere che la storia del XXI secolo si scriverà nello scacchiere Asia-Pacifico. Pechino cercherà di ridurre il differenziale strategico-militare con Washington, che a suo turno tenterà di rafforzarlo. Gli Usa cercheranno di dimostrare ai paesi della regione che hanno interesse a schierarsi con loro, la Cina farà l’opposto.

Medio Oriente, Africa, subcontinente indiano: confini artificiali e instabilità

Le sfide che devono affrontare Medio Oriente, Africa, India e Pakistan hanno una matrice comune: la loro instabilità è figlia della decisione dei colonizzatori di tracciare confini sulle cartine geografiche ignorando la topografia, così come la cultura dei popoli locali.

È stata, questa, una ricetta per un’instabilità permanente di quegli scacchieri, due dei quali peraltro – Medio Oriente e Africa – vicini dell’Italia.

Una condizione che appare destinata a perpetuarsi nel medio-lungo periodo sino a quando la mappa di quelle aree non sarà ridisegnata.

America Latina, ai margini degli affari mondiali

Situata nell’estremo sud del pianeta e priva di porti naturali, l’America Latina è tagliata fuori dal mondo esterno al punto da compromettere il suo pieno inserimento nei circuiti del commercio globale.

L’America Latina ha una geografia complessa. Numerose catene montuose, colline, valli, fiumi poco navigabili, foreste invalicabili, ghiacciai. A dispetto della pressoché totale comunanza linguistica, questi fattori geografici sono un freno alla creazione di un efficace blocco commerciale continentale come l’Ue.

Infine, i coloni europei “introdussero un altro problema geografico che ancora oggi impedisce a molti paesi di esprimere appieno il proprio potenziale: rimasero sempre nei pressi delle coste”. I coloni miravano a estrarre le ricchezze, trasferirle nei porti e immetterle nei mercati esteri. Di conseguenza, le principali città nacquero sul mare e quasi tutte le strade collegavano i centri dell’interno con le coste ma non fra di loro. Questo retaggio storico si è perpetuato anche dopo l’indipendenza, quando le élite costiere hanno continuato a non investire sullo sviluppo delle infrastrutture interne.

L’Italia, un paese “di secondo livello”?

Nel capitolo dedicato all’Europa, Marshall dedica all’Italia poche, impietose righe. A suo dire, l’Italia è una nazione “di secondo livello” a causa della sua geografia, che la colloca a cavallo fra Europa centrale e Europa meridionale.

Un paese diviso da una faglia che separa Nord industriale e Mezzogiorno arretrato, il cui differenziale di sviluppo invece di ridursi è andato accentuandosi negli anni.

Due aree geografiche distinte per meccanismo di funzionamento e scarsamente interconnesse fra di loro, che costituiscono un elemento di vulnerabilità strategica dell’Italia.

Italia, un unicum geopolitico

Pur non potendo non convenire con Marshall, resta il fatto che se l’aforisma di Napoleone citato in apertura ha valore sul piano generale, esso è ancor più valido per nazioni dalla geopolitica complessa come il nostro.

Quasi un unicum fra le nazioni, l’Italia:

  • ha quasi raggiunto i suoi confini naturali, che sono particolarmente ben definiti: una penisola protetta dal mare a sud, est e ovest e dalle Alpi a nord. Di conseguenza, le sue frontiere non sono a rischio;
  • ha una popolazione omogenea sotto il profilo etnico, linguistico, culturale e religioso;
  • ha una posizione pivotale nel Mediterraneo. Ne consegue che, in funzione del grado di stabilità/instabilità dello scacchiere, l’Italia è un perno con funzioni di cerniera/faglia: fra continenti, civiltà, etnie, religioni, culture, mercati;
  • è circondata da aree dagli equilibri precari quando non instabili: Mediterraneo, Medio Oriente, Balcani. A ciò si aggiunga che lo stesso progetto di integrazione europea manifesta sintomi di una crisi di natura sistemica, la cui onda d’urto potrebbe riverberarsi sulla stabilità del Vecchio Continente;
  • è povera di materie prime e ha un’economia di trasformazione: di qui l’importanza di assicurarsi rotte per l’approvvigionamento di energia e materie prime e per le esportazioni di manufatti.

Da questi fattori discende un dato politico: la posizione geografica fa dell’Italia una nazione il cui interesse nazionale è la tutela e la promozione della stabilità del suo estero vicino. Con quali strumenti? La scelta è compito della politica.

La classe dirigente italiana ricominci dalla geopolitica

Quanto precede conferma l’esigenza di un revival degli studi di politica internazionale in Italia e, fra questi, della geopolitica.

Anche la formazione e l’emergere di una classe dirigente politica e amministrativa consapevole dei vincoli geopolitici italiani e dei conseguenti obiettivi di politica estera risponde all’interesse nazionale. Una classe dirigente con un’idea condivisa dell’Italia e dei suoi interessi. Che ragioni e agisca per scenari. Non al traino dei suoi alleati – i cui interessi non sempre coincidono con i nostri – o, peggio, reagendo alla contingenza in modo retorico, velleitario e scomposto.

Una classe dirigente che impari a fronteggiare le sfide generate dall’evoluzione sempre più turbinosa dell’agone internazionale. E che sappia “attrezzare” concettualmente e materialmente l’Italia ad affrontarne i rischi e a coglierne le inevitabili opportunità.

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