La cancelliera Merkel è riuscita martedì, dopo aver fallito il giorno precedente, a riportare il gioco delle nomine europee a suo vantaggio, ma il quadro politico europeo è sempre più frammentato. L’indicazione di Ursula von der Leyen come Presidente della Commissione europea e la concessione alla Francia della presidenza della Banca Centrale europea (BCE), con Christine Lagarde, ha di fatto ripristinato l’asse franco-tedesco.
Un vasto fronte di Paesi membri aveva respinto il primo piano elaborato da Merkel e Macron: un socialista olandese, Frans Timmermans, capo della Commissione, e un tecnico francese, il banchiere Villeroy de Galhau, capo della BCE. Eppure, col senno di poi, tale soluzione paradossalmente avrebbe dato meno peso diretto a Berlino e Parigi.
Ma i due motori tradizionali dell’integrazione europea, Francia e Germania, mostrano oggi crescenti difficoltà nel dettare ai loro partner le scelte da perseguire. Sembrano aver perso la capacità di aggregare la stragrande maggioranza dei paesi europei e le forze politiche più rappresentative.
Di qui il fallimento delle nomine inizialmente proposte dalla cancelliera, che con il suo piano originale non era riuscita a convincere né la necessaria maggioranza dei suoi colleghi, né il suo partito di riferimento europeo, il PPE.
La verità è che il quadro politico europeo è sempre più frammentato. Se da un lato è vero che Salvini, Le Pen e i loro alleati hanno messo insieme solo 73 seggi in un Parlamento del 751, circa il 10%, è anche vero che le forze sovrane sono molto più numerose e presenti all’interno dello stesso grande europeista feste (vedi il partito di Orban nel PPE o quello del premier ceco Babis nei liberali europei). Paesi come l’Italia e la Polonia si muovono al di fuori dei tradizionali allineamenti dei partiti comunitari. Quindi oggi è più facile mettere insieme questa molteplicità di interessi politici nazionalisti, quando ci si vuole opporre a proposte dettate dall’alto.