Il ministro degli Esteri, Enzo Moavero, ha di recente risposto ad un’interrogazione parlamentare sul Patto globale sull’immigrazione, che sarà approvato il 10-11 dicembre alla Conferenza di Marrakech.
Moavero si è dichiarato a favore del Patto globale sull’immigrazione
Moavero si è dichiarato favorevole alla firma del Patto globale. Inoltre, nell’informare il Parlamento che il governo Conte si riserva di approfondire il tema, il titolare della Farnesina ha voluto minimizzare la portata del documento, sostenendo che esso non è vincolante per i firmatari.
Bisogna dirlo senza mezzi termini: per Diplomazia italiana il Patto globale sull’immigrazione è contrario all’interesse nazionale italiano. Non a caso, dopo aver analizzato a fondo il documento, lo scorso aprile questo sito ha lanciato un appello affinché il tema diventasse oggetto di un dibattito pubblico.
In seguito, il Centro di studi politici e strategici Machiavelli nelle scorse settimane ha organizzato un interessante convegno, le cui conclusioni confermano l’analisi di Diplomazia italiana.
Il Patto globale è contrario agli interessi dell’Italia
La tesi di chi oggi nel Governo sostiene il Global compact non appare affatto convincente. In particolare, nulla viene detto circa le criticità del Patto globale che Diplomazia italiana aveva già messo in evidenza:
- il Patto incoraggia l’immigrazione invece che governarla;
- il Global compact non distingue tra immigrati regolari e clandestini;
- il documento costituisce le fondamenta di un’architettura istituzionale volta a sottrarre il governo dell’immigrazione agli Stati e al controllo democratico, per attribuirlo ad organi sovranazionali, quali Onu e Oim;
- il Patto globale incoraggia i firmatari a mettere in piedi un impianto normativo fortemente liberticida.
Basta leggere la bozza del documento che sarà sui tavoli della Conferenza di Marrakech per comprenderne l’enorme portata. Di fatto, il Patto globale istituzionalizza l’immigrazione di massa.
Un errore minimizzare: il Patto globale istituzionalizza l’immigrazione di massa
Il Patto si fonda su un assioma considerato valido, senza che ne sia data alcuna dimostrazione. Secondo questo assunto, l’immigrazione sarebbe un fattore di “prosperità, innovazione e sviluppo sostenibile”. Per questo, di conseguenza, il Global compact abbatte confini, frontiere e ogni tipo di barriera che sia di ostacolo all’immigrazione.
Il documento fissa 23 obiettivi e, per ognuno di essi, le misure da adottare per conseguirli.
Il Patto incoraggia l’immigrazione invece di controllarla
Certo, il documento prevede anche misure per contrastare i fenomeni criminosi connessi all’immigrazione. Per esempio, l’obiettivo 9 prevede il rafforzamento del contrasto transnazionale al traffico di immigrati, e l’obiettivo 10 mira a combattere la tratta di esseri umani.
Ma il Patto presenta una serie di disposizioni che mirano a incoraggiare l’immigrazione invece che a controllarla.
In questa cornice, è devastante l’impegno chiesto ai firmatari di favorire i ricongiungimenti familiari. Viene così creato un generatore perpetuo di nuovi flussi migratori.
In alcuni passaggi, il documento si ispira palesemente a una cultura economico-aziendale. Le questioni di natura politica o umanitaria passano in secondo piano.
Con l’obiettivo 5 gli Stati contraenti si impegnano a organizzare delle filiere di immigrazione regolare “per facilitare la mobilità della manodopera“. “Manodopera”, non esseri umani. L’obiettivo 18 impegna gli Stati a individuare strumenti per “facilitare il mutuo riconoscimento delle qualificazioni e delle competenze degli immigrati”.
Inoltre, gli Stati si impegnano ad assicurare agli immigrati gli stessi diritti previdenziali e servizi sociali dei cittadini dei paesi di arrivo. Lo stesso vale per il mercato del lavoro, che deve promuovere “la piena partecipazione dei lavoratori immigrati all’economia formale”.
Il Patto globale è frutto di una mortifera matrice materialista, contraria ai valori dell’umanesimo
Da queste misure si evince una delle matrici ideologiche del Patto: il materialismo, che attribuisce utilità all’essere umano in base alla sua capacità di generare profitto.
Già a proposito della tragedia del piccolo Alfie Evans si era discusso di questa infezione ideologica, che nega il valore dell’uomo, del diritto, della spiritualità e della stessa vita. Un’infezione mortifera che nega i principi e i valori dell’umanesimo.
Il Global compact con contiene nessun principio di ordine superiore. Nessun riferimento politico, culturale o spirituale. Come se gli esseri umani, sia quelli dei paesi di arrivo sia gli immigrati, fossero pezzi di un ingranaggio. Pezzi di ricambio intercambiabili secondo le esigenze produttive.
Niente dice, il Patto, sulla capacità di accoglienza dei Paesi di arrivo, in particolare in questa fase di crisi economica. Niente sui diritti dei popoli autoctoni di decidere democraticamente a chi e a quanti aprire i confini. Niente circa la violenza che, per soddisfare l’imperativo del profitto, viene fatta agli immigrati strappandoli dalle loro terre, dai loro affetti, dai loro usi e costumi.
Con queste premesse, è più che lecito ipotizzare che uno degli obiettivi ultimi dei fautori delle porte aperte è quello di soffiare su fuoco della competizione fra lavoratori per abbattere il costo del lavoro.
La narrativa supera la realtà: cambiare la percezione dell’immigrazione
Dal testo del Global compact si evince chiaramente che Onu e Oim sono consapevoli che i popoli autoctoni sono ostili all’immigrazione di massa. Non a caso, alcuni degli strumenti previsti dal documento hanno una forte carica liberticida. Fra questi, l’obiettivo 17.
Da un lato, l’obiettivo 17 vuole apparire condivisibile, nella misura in cui impegna gli Stati firmatari a dotarsi di strumenti legali e giudiziari per contrastare tutte le forme di discriminazione. Ma dall’altro, assume un profilo sinistro e preoccupante, laddove impegna gli Stati a “incoraggiare un dibattito pubblico al fine di far evolvere la maniera in cui l’immigrazione è percepita”.
Di fatto, l’obiettivo 17 impegna formalmente gli Stati a mettere in piedi apparati di controllo dell’informazione. Diventa responsabilità degli Stati promuovere una “informazione indipendente, obiettiva e di qualità, compresa quella su Internet”. Si noti bene: “promuovere” non “garantire”.
Il Patto minaccia i diritti e le libertà in Europa
E come conseguire questi obiettivi in uno Stato in cui la stampa è libera? Ovviamente, “sensibilizzando i professionisti dei media alle questioni dell’immigrazione e all’utilizzo dell’afferente terminologia”.
Vale a dire, incoraggiando i giornalisti a “promuovere” una certa narrativa e a utilizzare un certo lessico. Già oggi, i media italiani che usano termini come “clandestino” possono incorrere nei rigori dell’Ordine dei giornalisti. E un domani?
E quale informazione potrà mai essere autenticamente libera se in realtà gli autori del Patto globale hanno già deciso quali conclusioni deve veicolare?
È evidente che questo approccio ideologico mette a rischio il sistema europeo di diritti e di libertà. Il Patto globale contiene in nuce tutti gli strumenti per:
- stabilire forme di censura;
- comprimere la libertà di parola e di espressione;
- limitare il diritto dell’informazione: quello dei cittadini di essere informati e quello dei media di informare.
Questa visione liberticida minaccia l’essenza stessa della civiltà europea, fondata sulla ragione greca, sul diritto romano e sull’universalismo cristiano.
In attesa della censura c’è già l’autocensura
Nei paesi europei non vi è – per ora – una formale censura di Stato. Nondimeno, i perversi effetti di questa cultura liberticida cominciano a vedersi in forma di autocensure di stampo orwelliano.
Come in Germania, dove a inizio 2016 i media hanno ignobilmente cercato di occultare l’ondata di aggressioni sessuali di cui numerosi “rifugiati” si sono macchiati la notte del 31 dicembre 2015.
Oppure in Gran Bretagna, dove oltre 1.400 abusi sessuali su minori commessi da immigrati musulmani tra il 2004 e il 2011 sono stati coperti per anni da polizia e media.
In entrambi i casi, come in tanti altri successivamente venuti alla luce, la parola d’ordine è stata di non alimentare il razzismo. E quindi di non dare la notizia al pubblico.
Nell’agenda mondialista le donne e i loro diritti vengono dopo gli immigrati
La gestione mediatica di questi turpi fatti di cronaca aiuta a capire l’agenda mondialista.
Un progetto diventa chiaro quando i suoi obiettivi entrano in contrasto. In tale caso diventa infatti necessario stabilire delle priorità e fare delle scelte. Guardando a queste scelte, emerge l’obiettivo strategico del disegno mondialista.
I citati fatti di Germania e Gran Bretagna hanno messo in radicale opposizione diritti delle donne e immigrazione. Come si è risolto questo dilemma? I diritti delle donne sono stati eclissati dall’imperativo di riaffermare la narrativa dell’immigrazione come fenomeno positivo.
Un’altra dimostrazione – se ancora che ne fosse bisogno – della tesi di Diplomazia italiana secondo cui l’immigrazione è la partita politica decisiva di questo inizio di XXI secolo.
Sempre più Stati prendono le distanze dal Patto sull’immigrazione
Come sorprendersi, quindi, se il Patto globale incontra crescente ostilità? Gli Stati Uniti non hanno partecipato ai negoziati, giudicando il Compact incompatibile con la loro politica migratoria e con la loro sovranità.
In Europa si moltiplicano gli Stati che non firmeranno il Patto. Fra questi, l’Ungheria di Orban che ha definito l’accordo pericoloso in quanto incoraggia i flussi migratori.
L’Austria ha detto di no per tre ragioni. Primo, l’assenza di distinzione fra immigrati legali e clandestini. Secondo, la confusione fra rifugiati e immigrati economici. Terzo, il rischio che il Global compact finisca per creare un diritto internazionale vincolante in materia di immigrazione.
Anche Repubblica Ceca, Bulgaria e Polonia non firmeranno il Patto globale. La stessa linea è stata annunciata da Australia e Israele: secondo lo Stato ebraico, le disposizioni del documento non gli consentirebbero di difendere adeguatamente le sue frontiere.
In paesi-chiave, come la Germania, cresce il consenso delle forze politiche contrarie al Global compact: un dato politico che complica i progetti del governo, che invece è favorevole.
Macron è favorevole? il nostro Governo diffidi delle cattive compagnie
In Francia, dove ci sono ben altri problemi di cui occuparsi, il presidente Macron si è detto pienamente favorevole al Patto. Già questa presa di posizione, tenuto conto del curriculum dell’inquilino dell’Eliseo, dovrebbe suggerire diffidenza a Moavero.
Ancora più interessante è che gli argomenti di Macron coincidono con quelli di chi oggi nel nostro Governo appare sostenere il Global Compact. Durante una recente visita in Belgio, Macron ha anch’egli cercato di minimizzare la portata del Global compact con affermazioni controverse:
- il fenomeno migratorio riguarderebbe solo in minima parte l’Europa;
- il Patto non è vincolante;
- le soluzioni proposte dal Patto vanno nella direzione dei valori e degli interessi dell’Europa.
Sul Patto globale Macron non è credibile. E nemmeno chi condivide la sua linea
La tesi di Macron che il fenomeno migratorio riguarderebbe solo in parte l’Europa è smentita dai fatti.
In Italia, nel 2002 gli immigrati erano circa 1,3 milioni, nel 2017 oltre 5 (+400% circa in 15 anni). Nel 2001 quelli in Spagna erano circa 1,3 milioni, nel 2017 4,6 milioni (+300% circa in 16 anni). Secondo Frontex, nel 2015 in Europa sono entrati 1,8 milioni di clandestini. Nel 2016, oltre 500.000.
In linea con il Global compact, Macron sembra suggerire che il problema non è l’immigrazione reale, bensì quella percepita. Si tratta della stessa risposta che veniva data a chi sosteneva che a partire dal 2002 l’introduzione dell’Euro aveva provocato un’impennata dei prezzi…
Su questo punto, soprattutto, si può rilevare una singolare convergenza fra la posizione di Macron e il sinistro obiettivo 17 del Patto.
Il Patto non è vincolante in senso stretto, ma è un preciso impegno politico
Anche l’argomento secondo cui il Patto non è giuridicamente vincolante non è logico. Se il Global compact intende solo riaffermare dei principi, qual è la sua utilità? Perché mettere in piedi questo immenso esercizio su scala globale, coinvolgendo Stati, organizzazioni internazionali, Ong e mezzi di informazione?
Il punto è in realtà un altro. Se il Patto non è vincolante sul piano giuridico, esso costituisce un preciso e dettagliato impegno politico. Un impegno che i firmatari legittimamente si attenderanno sia rispettato. E questo sotto l’egida dell’Onu e dei suoi organismi.
Al riguardo, vanno osservati due dati. Primo: il diritto internazionale ha anche natura consuetudinaria, non solo pattizia. Secondo: la recente prassi ha fatto registrare una crescente invasività della giurisdizione dei tribunali internazionali e nazionali. Chi può escludere che un domani un’organizzazione internazionale o un giudice esigano che uno Stato modifichi la sua legislazione in materia migratoria con il pretesto che è contraria al Global compact?
Anche un bambino capisce che il rischio che il Patto globale possa diventare giuridicamente vincolante è reale. Prova ne è che questo motivo ha convinto l’Austria a ritirarsi.
Il Global compact, breviario per affondare l’Europa
Tutte queste criticità mettono in luce il potenziale distruttivo del testo dell’Onu. Altro che coerenza con i valori e gli interessi europei, come vorrebbe spiegare Macron. Si tratta in pratica di un breviario per distruggere l’Europa, visto che gli Usa hanno scelto di chiamarsi fuori e che non risultano milioni di africani in partenza per la Cina.
Oggi all’Europa, guidata da una classe dirigente prevalentemente mondialista, viene negato il diritto di difendersi dall’urto migratorio. Anzi, quest’ultimo deve essere assorbito, organizzato, facilitato. Fino a che punto si permetterà questo suicidio?
È necessario risalire alle cause profonde.
Per i popoli d’Europa che voteranno nel maggio 2019 la questione non è essere pro o contro l’immigrazione. Il puerile ricatto morale razzismo-antirazzismo periodicamente riesumato da alcuni governanti e da certa stampa non ha più presa sui popoli europei.
Il problema non è l’immigrazione, ma chi la alimenta e ci lucra
Non si possono incolpare gli immigrati perché sognano una vita migliore. Si deve però avere ben chiaro chi sono i responsabili – anche europei – dell’attuale destabilizzazione di tante regioni del mondo, di cui l’immigrazione selvaggia è solo uno dei tanti volti.
Il vero tema è essere pro o contro certe élite corrotte. Si badi bene: non nel significato che la cronaca giudiziaria comunemente attribuisce al termine, ma in senso politico.
Corrotte perché avulse dai popoli di cui dovrebbero difendere gli interessi sovrani. Corrotte perché stanno scientemente disarticolando la civiltà europea, il suo logos, il suo ius, la sua universalitas. Corrotte perché impegnate a distruggere i diritti sociali, frutto del lavoro e del sacrificio di generazioni.
Sull’immigrazione, chi oggi sostiene il Patto non è sintonico con il popolo italiano
Oltre che per tutelare l’interesse nazionale, l’Italia deve chiamarsi fuori dal Global compact anche per ragioni politiche.
Va infatti ricordato che alle recenti elezioni politiche gli elettori italiani hanno bocciato la sinistra e la sua disastrosa politica migratoria.
Da questo punto di vista, chi nel governo sostiene il Patto non è in sintonia con la volontà popolare. Sia chiaro, quest’ultima deve essere governata. La politica ha il dovere di non assecondare pedissequamente gli umori popolari, che hanno sempre una componente irrazionale.
Nel contempo, però, la politica deve rispettare la volontà popolare, pena la dissoluzione del patto democratico fra rappresentati e rappresentanti. Quando i secondi smettono di tutelare gli interessi dei primi, l’intera architettura democratica diventa traballante.
Il governo deve battere un colpo sul Global compact
È comprensibile che chi non è un politico di professione non sia uso a confrontarsi con la volontà popolare e con il controllo democratico del voto.
Tuttavia, per la stessa ragione il governo Conte, che è un esecutivo politico, non può lasciare che siano dei tecnici a determinare l’indirizzo politico su un tema fondamentale come l’immigrazione.
Bene, dunque, l’endorsement di Matteo Salvini e della Lega al sottosegretario agli Esteri, Guglielmo Picchi, che ha espresso contrarietà al Patto globale. Era necessario che le forze di governo dessero un segnale politico nei tempi e nelle modalità giusti.
E bene farebbe il M5S, anche nella prospettiva di conservare il rapporto di fiducia con gli italiani, a elaborare una propria posizione sul Global compact, che tenga conto dell’interesse nazionale e della volontà del popolo italiano, che sono chiarissimi.