Pensavamo che la Francia in Italia avesse un ambasciatore. A leggere alcune dichiarazioni in materia di immigrazione, scopriamo invece che ne ha molti di più.
Decine forse, ben distribuiti fra membri di governo, osservatori e media italiani. Questi, infatti, hanno sposato la narrativa che l’Ue e i nostri partner, in primis la Francia, intendono finalmente redistribuire in Europa gli immigrati che sbarcano sulle coste italiane.
La ragione di questo cambiamento di indirizzo? La ritrovata “credibilità” internazionale del governo italiano, naturalmente. Eppure, a un esame più approfondito, la posizione di Ue e Francia sembra immutata. E, soprattutto, continua ad apparire ostile agli interessi italiani.
Dalla Francia nessun aiuto. Anzi, vuole un’Italia debole
“Bisogna che i paesi di primo arrivo permettano lo sbarco dei migranti” ha dichiarato il segretario di Stato francese Amélie de Montchalin. I paesi di sbarco – ha aggiunto – devono inoltre farsi carico di “studiare la situazione di queste persone, in modo che possiamo sapere chi sono”.
I due punti su cui si impernia la posizione della Francia sono dunque chiari. E avrebbero per effetto di mettere l’Italia in una posizione asimmetrica di debolezza rispetto ai partner europei.
Primo: nessuna solidarietà senza sbarchi. Perché scatti la redistribuzione in Europa gli immigrati devono prima sbarcare e l’Italia farsene carico. Poi, se del caso, una “solidarietà” non solo condizionata, ma anche molto eventuale. Nessuna procedura predeterminata, né certezze sui numeri. Zero garanzie per l’Italia, insomma.
Secondo: la responsabilità dell’identificazione ricade sul paese di primo ingresso. Con la conseguenza che i partner europei potranno sempre deportarvi gli indesiderati. Non è un’ipotesi astratta. Le quote infatti non riguarderebbero tutti gli immigrati, ma solo quelli meritevoli di protezione internazionale. Solo questi ultimi, una minoranza, verrebbero redistribuiti in Europa. Tuttavia, poiché la maggioranza delle domande di asilo – il 61% nel 2018 secondo il Viminale – viene respinta, è evidente che la gestione della maggioranza degli immigrati resterebbe per intero sui paesi di primo ingresso, quali l’Italia.
L’Ue vuole indebolire il ruolo di argine della Libia
A ciò si aggiunga che la stessa Unione europea prende ufficialmente posizione contro i centri di detenzione degli immigrati in Libia. In altri termini – negli auspici di Bruxelles – il debole argine costituito dalla Libia dovrebbe essere spazzato via.
Se questi tre scenari dovessero avverarsi, l’Italia rischierebbe di tornare indietro di anni. Di tornare alle catastrofiche politiche dei governi Renzi e Gentiloni, che avevano reso l’Italia un paese in balia di forze esterne, come dimostrano i dati.
I dati dimostrano l’efficacia di Salvini. E il disastro di Renzi e Gentiloni
- 13.267 sbarchi nel 2012.
- 42.925 sbarchi nel 2013.
- 170.100 sbarchi nel 2014.
- 153.842 sbarchi nel 2015.
- 181.436 sbarchi nel 2016.
I risultati di Renzi e Gentiloni sono ancora più catastrofici se raffrontati con quelli del ministro dell’Interno Salvini.
- 23.371 sbarchi nel 2018.
- 6.138 sbarchi nel 2019 (al 15/9).
Per completezza di informazione: con la tanto osannata gestione di Minniti, presentata dai media come un modello, nel 2017 gli sbarchi sono stati ben 119.369. Questa era la serietà del Pd.
Altroché solidarietà, qualcuno vuole l’Italia hot spot d’Europa
Il rischio è chiaro. L’Italia rischia di ridiventare l’hot spot d’Europa, come ai tempi di Renzi e Gentiloni. Vista con la lente dell’interesse nazionale, la linea di Bruxelles e di Parigi non solo non appare utile all’Italia ma persino dannosa. In questa prospettiva, la “svolta” europea annunciata dal governo Conte sembra più una narrativa propagandistica che non il frutto di affidamenti di cancellerie internazionali.
Questi sviluppi sono politicamente paradossali. Da un lato, il dato politico emerso dalle elezioni del marzo 2018 è che per gli italiani la lotta all’immigrazione clandestina è una priorità assoluta.
Dall’altro, pur senza dichiararlo apertamente, il governo Conte bis sembra voler riportare indietro le lancette della storia a Renzi e Gentiloni. Ossia a coloro che nel 2018 e in tutte le consultazioni successive sono stati severamente puniti dagli elettori, anche a causa della loro dissennata politica migratoria.
L’Italia rischia un cortocircuito democratico
Abbiamo un elefante nella stanza. Gli italiani sono contrari all’immigrazione selvaggia, così come ai suoi costi economici, sociali e di sicurezza.
Per la stessa ragione, i partner europei non sembrano entusiasti all’idea di ripartirsi quote di immigrati per aiutare l’Italia.
Il governo Conte bis comincia a dare segnali di voler invertire la politica di rigore di Salvini, ma alimenta una storytelling fumosa per non perdere consenso. Ma allora, chi guadagna davvero dall’invasione migratoria dell’Italia?
E ancora: chi decide oggi in Italia sul problema politico dell’immigrazione? Un ministro degli Esteri capo politico del partito di maggioranza relativa in Parlamento, cui la carica attribuisce diverse competenze in materia? Oppure un ministro dell’Interno sconosciuto ai più e, come il capo del Governo, privo di un mandato democratico da parte dei cittadini italiani? O chi ancora?
Si delinea all’orizzonte un cortocircuito democratico. Difficile ricordare situazioni come l’attuale, in cui la distanza fra volontà popolare e azione di governo è apparsa così siderale. I prossimi sviluppi della vita politica italiana rischiano di avere gravi effetti per la credibilità dell’architettura istituzionale italiana e – in ultima analisi – per la sua legittimità. Il costo, come sempre, rischiano di pagarlo i cittadini.