Da settimane, in vista delle elezioni politiche in Ungheria i mezzi di informazione occidentali avevano dipinto un paese di fantasia. Da un lato, ritraevano l’Ungheria come una democrazia al collasso, uno Stato di diritto al tramonto. Dall’altro, si lasciavano andare a deliri su un elettorato magiaro ansioso di votare per mandare a casa il premier uscente Orban – dipinto come un aspirante dittatore – e rimettersi al collo il guinzaglio euro-bruxellese. Come sempre accade quando si antepone la propria agenda politica alla corretta informazione, questi pronostici non hanno resistito all’impatto con la realtà.
Orban ha stravinto le elezioni
L’affluenza al voto è stata elevatissima, il 68% circa, la più alta dal crollo del comunismo. Gli ungheresi hanno dato a Viktor Orban il 49% dei suffragi e 133 seggi parlamentari su 199. Una maggioranza qualificata, che gli consentirà di governare l’Ungheria per la quarta volta, la terza consecutiva. E di riformare la costituzione in piena autonomia.
Cosa c’è alla base di questo risultato elettorale?
In economia, Orban ha ridotto la disoccupazione al 4,1%. Grazie alla bassa tassazione, ha reso l’Ungheria uno dei primi paesi d’Europa orientale per investimenti esteri. Ha rimesso la Banca centrale al servizio dell’economia nazionale. Ha conservato il controllo pubblico su settori strategici come banche, costruzioni, utilities ed energia. Ha rifiutato di barattare il Fiorino ungherese per l’Euro. Ha rinazionalizzato i fondi pensionistici. Ha riportato in equilibrio i conti pubblici e ha accompagnato alla porta il Fmi.
In breve, Orban ha rilanciato l’economia ungherese senza applicare le ricette neoliberiste di privatizzazioni e austerità. Le ricette tanto care all’Unione Europea, al Fmi, a Soros e ai suoi sicofanti.
In campo politico, Orban si è fatto alfiere della inflessibile difesa degli interessi nazionali e della sovranità ungheresi. Ha messo al centro del suo progetto politico lo Stato, concepito come strumento per organizzare e rafforzare la comunità nazionale. Ha recuperato e difeso i valori tradizionali: famiglia, identità nazionale, cristianesimo.
Orban ha svolto una politica estera rispettosa degli impegni presi, sia in ambito Ue e Schengen sia in ambito Nato. Ha fornito un importante contributo per stabilizzare i Balcani. E nondimeno, è stato sempre attento a preservare l’autonomia dell’Ungheria quando richiesto dall’interesse nazionale, come ad esempio con i buoni rapporti con la Russia.
Un cenno merita la politica di Orban sull’immigrazione.
Allo scoppio della crisi migratoria nel 2015, l’Ungheria, che è una potenza regionale di poco meno di 10 milioni di abitanti, è stata fra i paesi maggiormente investiti. Budapest rischiava di essere letteralmente sommersa. Secondo Frontex, solo fra gennaio e febbraio 2015, in Ungheria sono giunti ben 100.000 clandestini.
Budapest ha preso atto della sostanziale inazione dell’Ue. Ha dovuto fare i conti con la linea a dir poco ambigua della nomenklatura di Bruxelles. Si è dovuta confrontare con l’assenza di solidarietà dei paesi europei. E di conseguenza ha sviluppato una politica dialettica con l’Ue. Mettendo in discussione dell’ineluttabilità dell’immigrazione e opponendosi alle quote obbligatorie di immigrati. In quest’ottica, ha svolto un ruolo chiave nel consolidare una linea comune con i paesi like-minded del Gruppo di Visegrad.
Non a caso, a differenza di vari paesi europei, in Ungheria non si sono registrati né impennate di crimini attribuibili a stranieri e clandestini, né incrementi di fenomeni di razzismo.
Orban è “pericoloso” perché difende l’interesse nazionale stando in Europa
Difficile dunque considerare l’Ungheria come una democrazia a rischio. Quello ungherese non è stato un voto xenofobo o di pancia. Anzi.
Semmai, la “pericolosità” di Orban sta nel suo esempio.
Innanzi tutto, il primo ministro ungherese ha dimostrato che si può stare nell’Ue e nel contempo efficacemente difendere sovranità e interesse nazionale. Inoltre, ha messo in luce che anche all’interno della cornice europea un paese può rilanciare l’economia senza ricorrere alle ricette neoliberiste più ortodosse o alle amorevoli cure della Troika.
Ispirandosi ad Orban, cosa potrebbe fare l’Italia, il cui peso in Europa è ben maggiore di quello dell’Ungheria, per Pil, per potenza industriale, per popolazione, per forza militare?
Gli ungheresi hanno premiato Orban semplicemente perché hanno chiaro che le sue politiche sono state mirate a difendere e promuovere gli interessi dell’Ungheria e del suo popolo. A preservare la sovranità nazionale e a governare i fenomeni politici, non a subirli.
Chi segue con attenzione l’attualità internazionale non si sorprenderà di osservare che i risultati che vengono istericamente rimproverati ad Orban dagli ambienti a lui ostili sono, nel contempo, gli stessi che gli sono valsi il fortissimo sostegno del popolo d’Ungheria.
In questi due schieramenti si riverbera la natura metapolitica della grande partita del nostro tempo.
Orban dimostra che solo chi è sovrano è artefice del proprio destino
Da un lato, i difensori dei popoli, dello Stato come modello organizzativo e informatore, dell’identità nazionale, delle radici culturali e religiose, dei diritti sociali.
Dall’altro, i fautori del meticciamento a tappe forzate, del dissolvimento dello Stato a vantaggio di poteri avulsi dai popoli (organismi sovranazionali, multinazionali, la “rete”…), del cosmopolitismo dei déracinés, del relativismo morale e religioso, dei “nuovi diritti” dei costumi orgogliosamente sbandierati mentre in tutto Occidente il neoliberismo tenta di spazzare via i diritti sociali e del lavoro.
Del resto, chi è Orban?
Un uomo che poco più che ventenne scelse nella seconda metà degli anni ’80 del XX secolo di stare in piedi e denunciare il regime comunista di Budapest quando era veramente pericoloso.
Quando quelli che oggi in Occidente lo mettono all’indice si professavano marxisti, leninisti, trotzkisti, maoisti. E sostenevano che nei paradisi terrestri oltre la Cortina di Ferro si viveva molto meglio. E che il muro serviva a proteggerli dalla minaccia fascista. Ma ammutolivano, accoltellando l’interlocutore con lo sguardo, quando gli si chiedeva come mai i giovani d’Europa orientale rischiavano la pelle per scavalcarlo, il loro adorato muro.
Trent’anni dopo, questi stessi maestri di democrazia, mai stanchi di piroette intellettuali e morali, senza vergogna spiegano che non esistono alternative a Juncker e ai suoi ottusi burocrati. Che non vi sono altri orizzonti rispetto all’economia del debito e dell’austerità. Ad estinguerci sotto le ondate dell’immigrazione.
E anche Orban è ancora lì a ricordarci che in politica la sovranità è tutto. Che solo chi è sovrano è artefice del proprio destino.