Molti hanno analizzato la fattibilità di un governo tecnico. Ma nessuno ha spiegato perché è una ipotesi contraria all’interesse nazionale.
Governo politico subito, lo chiede l’interesse nazionale
Negli ultimi giorni il tema della nascita di un governo politico era stato offuscato dall’ipotesi, prospettata dal Presidente della Repubblica Mattarella, di un “governo neutrale”, ossia l’ennesimo governo tecnico.
Questa ipotesi, che sembrerebbe ora tramontata, è stata ampiamente analizzata dai media. Ciò che non si è fatto, però, è una riflessione sulle ragioni per cui un governo tecnico è un’ipotesi difficilmente sostenibile per l’Italia.
Al riguardo, Luigi Di Maio e il Movimento 5 Stelle hanno sostenuto che un governo tecnico non sarebbe legittimato dall’esito del voto, non avendo una connessione reale con il Paese e con la volontà popolare. Se politicamente è una tesi condivisibile, è altrettanto vero che tale formula non è vietata dal dettato costituzionale.
Tuttavia, le ragioni che rendono insostenibile per l’Italia il varo dell’ennesimo governo tecnico sono altre, e risiedono nei mutamenti occorsi negli ultimi anni nelle relazioni internazionali, che hanno visto cambiare le regole del gioco.
L’attuale fase di globalizzazione vede gli Stati nazionali perdere crescenti parti della propria sovranità a vantaggio di organizzazioni internazionali, quali l’Unione Europea.
Tuttavia, è parallelamente in corso un rafforzamento della natura competitiva delle relazioni internazionali, che vede gli Stati riaffermare in modo sempre più assertivo il proprio interesse nazionale: ciò anche in seno alle organizzazioni internazionali.
Solo un governo politico può far valere l’interesse nazionale
Infatti, le cosiddette personalità “neutrali” che dovrebbero guidare un esecutivo tecnico sono figure tecniche per lo più provenienti dall’alta amministrazione, dalla diplomazia, dall’università.
Da un lato esse hanno nel tempo intrecciato una fittissima rete di relazioni con le élites politiche ed economiche globali. Dall’altro, tuttavia, proprio in ragione dei loro legami e della comune matrice culturale con questo establishment, non di rado i tecnici non hanno una visione politica sufficientemente centrata sull’interesse nazionale.
Non possono, quindi, farsi carico delle dovute prese di posizione – anche critiche – sulle logiche e sui meccanismi di funzionamento di un sistema di cui la “tecnicità” dei governi è sovente un prodotto: non è da dimenticare, a tal proposito, che il “profilo internazionale” dei tecnici è spesso assunto a parametro di merito.
I governi neutrali non esistono
Un ulteriore motivo riguarda proprio il concetto di “neutralità”. Nell’ordinamento costituzionale italiano, l’esecutivo, anche se non eletto direttamente dal popolo come negli ordinamenti presidenziali o semipresidenziali, è nominato sulla base dei risultati delle elezioni.
Questa circostanza – come ha osservato il leader del Centrodestra Matteo Salvini – fa del governo un organo, giustamente e nel senso più logico del termine, “di parte”, a differenza di altre cariche quali ad esempio i Presidenti delle Camere.
Del resto, i governi tecnici non sono neutrali. Innanzi tutto – come già accennato – i membri che ne fanno parte sono individui portatori di visioni e valori acquistati e sviluppati nella loro frequentazione della nomenklatura tecnocratica internazionale.
Inoltre, come è naturale, molti di essi hanno avuti incarichi di collaborazione con la politica, nel caso specifico con il governo uscente: ciò che non assicurerebbe la discontinuità politica chiesta dagli elettori con il voto dello 4 marzo.
Alla luce di queste circostanze, non si vede come un esecutivo tecnico, oltretutto in una situazione delicata come l’attuale, potrebbe mai svolgere le funzioni di un governo “di tregua”.
E oltretutto non saprebbe esprimere l’indirizzo politico – quindi decisionale e non solo conservativo dell’esistente – che è doveroso aspettarsi da un governo chiamato a difendere l’interesse nazionale.
In questi giorni sono state evocate le ragioni per cui era urgente dare un governo all’Italia, meglio se tecnico. Fra i quali, finanche, evitare l’aumento dell’Iva…
Le ragioni invocate per sostenere un governo tecnico militano a favore di un governo politico
Le principali questioni del nostro tempo, l’emergenza dell’immigrazione, la crisi identitaria ed economica dei Paesi d’Europa, la denatalità, gli evidenti limiti del progetto di integrazione del Vecchio Continente, il trovare un’alternativa alla politica euro-tedesca dell’austerità costituiscono delle vere e proprie sfide politiche cui devono rispondere scelte politiche.
Sfide che è necessario individuare, esaminare ed affrontare sulla base dell’interesse nazionale.
Non avendo il vigore politico che solo il mandato popolare può conferire, i tecnici rischiano di non avere l’autorevolezza necessaria per tutelare e promuovere gli interessi vitali dell’Italia nei principali consessi internazionali e con i Paesi partner.
E, in questo peculiare momento, l’Italia non può permettersi di restare indietro sulla scena della storia.
Il dato politico delle elezioni del 4 marzo è che si sono giocate su due temi di politica estera: l’austerità economica e l’immigrazione.
In queste ultime ore sembra delinearsi una ricomposizione dello scacchiere politico italiano nel senso ipotizzato qualche settimana orsono da DiplomaziaItaliana.it. Una storica riconciliazione nazionale basata sulla sintesi politica delle diverse ma legittime ragioni di ampie parti del popolo italiano.
Un governo che rappresenti il blocco politico-sociale emerso il 4 marzo, una coalizione fra Centrodestra e Movimento 5 Stelle, con una formula ancora da definire.
Resta da vedere con quali formule (al momento, si ipotizza una “astensione benevola” di parte delle forze del Centrodestra) e con quali esiti.
L’Italia ha di fronte sfide epocali che richiedono una assunzione di responsabilità e intese ampie fra le diverse anime della classe politica nazionale.
Questa è, a ben vedere, la volontà popolare emersa con le ultime elezioni politiche.