Nel nostro Paese si concentrano oggi quasi 6 milioni di immigrati stranieri, pari al 10% della popolazione residente.
Gli immigrati nel mondo, in Europa e in Italia
Si abbandona la propria terra d’origine o volontariamente, per cercare migliori condizioni di vita, o per fuggire da guerre, carestie o persecuzioni.
È questa la dicotomia essenziale che da sempre caratterizza i movimenti del genere umano. I fenomeni di questo primo scorcio di XXI secolo non fanno eccezione.
Secondo le più recenti statistiche del Dipartimento per gli Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite, riprese dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e dall’Unità di Analisi dell’Economist, a fine 2017 i migranti nel mondo, intesi come cittadini stranieri nati in un Paese diverso rispetto a quello di attuale residenza, avrebbero superato i 260 milioni, cioè circa il 3,5% della popolazione globale, un dato in costante crescita (+1.5% rispetto al ventennio precedente, +14% negli ultimi cinque anni).
Tuttavia, la concentrazione e i tassi di incremento dei migranti variano significativamente a seconda dell’area geografica.
A ben vedere, sono i Paesi occidentali ad accoglierne il maggior numero.
Nei soli Stati Uniti si troverebbero oggi quasi 50 milioni di immigrati, pari al 15,3% della popolazione residente, con un incremento del 2,7% negli ultimi venti anni.
In Europa, il Paese che finora ha accolto il maggior numero di stranieri è stata la Germania, con 12,2 milioni di nuove presenze pari al 14,8% della popolazione e un tasso di incremento ventennale dell’1,5%.
Seguono Regno Unito (8,8 milioni, pari al 13,4% della popolazione con un + 4,8% in vent’anni), Francia (7,9 milioni, 12,2% della popolazione, incremento ventennale dell’1,8%) e Italia.
Secondo le stime più accreditate, nel nostro Paese si concentrano oggi quasi 6 milioni di immigrati, pari al 10% della popolazione residente.
Questa cifra comprende sia immigrati regolari o regolarizzati, circa 5,5 milioni, sia gli irregolari o clandestini, che secondo le stime più credibili Istat e Fondazione Ismu (Iniziative e Studi sulla Multietnicità) sono appena sotto il mezzo milione di unità, ossia oltre l’8% del totale straniero.
Bisogna dire che queste cifre non tengono conto delle naturalizzazioni, il cui ritmo si è notoriamente intensificato negli ultimi anni.
Se dovessimo considerare anche gli acquisti successivi di cittadinanza da parte degli immigrati, lo stock supererebbe i 7 milioni, cioè circa il 12% della popolazione residente.
Se i dati sopra evidenziati pongono l’Italia apparentemente in linea con i valori registrati dai Paesi più sviluppati del continente, è però in primo luogo il tasso di incremento della popolazione straniera sul totale di quella residente che induce a riflettere.
Infatti, negli ultimi venti anni lo stock di immigrati in Italia è aumentato di oltre il 6%, quattro volte più di Germania e Francia, il doppio degli Stati Uniti, ponendoci al terzo posto nell’Ue per aumenti nei nuovi arrivi dopo Spagna (+8,6%) e Irlanda (+ 6,8%).
Non solo: gli incrementi più significativi e di difficile gestione si sono per noi concentrati di fatto negli ultimi anni, impattando seriamente sul sistema di accoglienza e di welfare.
Se non consideriamo la parentesi della crisi migratoria albanese dei primi anni Novanta, senz’altro un primo incremento rilevante di flussi in entrata ha coinciso con gli allargamenti a est dell’Unione Europea nel 2004 e 2007, con la conseguente affermazione di alcune grandi comunità straniere oggi residenti (come quella rumena, che con oltre un milione di cittadini sarebbe la prima per dimensioni).
In effetti, nel solo 2008 gli arrivi complessivi dall’estero hanno superato il mezzo milione di individui (507.610), di cui ben oltre la metà provenienti dall’Europa (circa 350.000).
Gli arrivi erano concentrati nel centro-nord e la determinante principale di questi movimenti era riconducibile alle esigenze dell’economia italiana, bisognosa di manodopera a basso costo per alimentare vasti comparti industriali caratterizzati da bassa intensità di capitale e alta intensità di lavoro (secondo Istat, oltre i due terzi dei migranti erano spinti da esigenze lavorative).
Bisogna poi dire che la quota di migranti regolari era maggioritaria rispetto al totale dei nuovi arrivi, poiché si inquadrava o nell’ambito della libera circolazione dei cittadini e dei lavoratori comunitari o nelle normative nazionali sull’immigrazione, sinteticamente riassumibili nella legge 40/1998 e nel cosiddetto Decreto Flussi, provvedimento governativo annuale che per il 2008, ad esempio, regolamentava ben 150 mila nuovi ingressi di stranieri per lavoro.