Osservando da una certa distanza l’Ambasciata americana a Berlino, si nota sul tetto una grande tenda bianca. Non si tratta di una zona antistress per il personale, ma di una calotta che sembrerebbe celare apparati elettronici e di comunicazione per monitorare le comunicazioni nella capitale tedesca.
Cyber spionaggio Usa, non solo Russia e Cina nel mirino
È plausibile che questi strumenti controllino il traffico voce e dati delle ambasciate di Russia, Cina e Iran. Ma non vi è nessuna certezza che non facciano altrettanto nei confronti di quello della Cancelleria Federale e del Bundestag a poche centinaia di metri.
Del resto, proprio qualche anno fa, durante la presidenza Obama la notizia che il cellulare del Cancelliere Merkel e quelli di tanti leader europei erano intercettati dalla National Security Agency Usa suscitò scalpore e sdegno. Almeno per un po’.
Tutti spiano tutti. Anche fra “amici”
È normale essere spiati dai propri nemici. In fin dei conti è una delle costanti della storia, fin dall’antichità. È quando si inizia ad essere spiati dai propri amici e alleati che la situazione diventa inquietante e frustrante.
Venendo alla situazione attuale, è fisiologico che gli Stati Uniti e l’Ue manifestino preoccupazione dinanzi all’assertività di Mosca e Pechino nel settore cyber, dello spionaggio e della gestione dei dati sensibili.
Queste azioni rientrano purtroppo nelle regole non scritte della competizione globale. Russia e Cina non stanno facendo nulla da diverso da quello che gli Usa e le altre potenze occidentali hanno fatto per decenni se non per secoli. L’elemento di novità è che oggi le capacità tecnologiche cyber sono alla portata di molti paesi. Anche al di fuori del ristretto club occidentale.
L’eccezionalismo occidentale non aiuta a capire la natura della competizione globale
Occorrerebbe uscire da quella gabbia mentale, tipica del sempre invocato eccezionalismo occidentale. Quello secondo cui se a spiare siamo noi è giusto e tollerabile. Anche quando lo facciamo tra di noi. Quando invece lo fanno gli altri, lo stesso comportamento diventa inaccettabile e pericoloso.
A molti l’espressione Five Eyes probabilmente dirà poco. Ma nel gergo militare identifica cinque paesi anglosassoni – Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda – che hanno messo a punto una rete integrata di satelliti e stazioni di ascolto che monitora tutte le comunicazioni planetarie. Una rete di controllo cyber già resa nota in passato da centinaia di fonti aperte e da indagini di organismi internazionali.
Five Eyes Only, internazionale anglosassone dello spionaggio
In alcune delicate operazioni militari multilaterali occidentali all’estero esiste un livello di condivisione di informazioni sensibili definito Five Eyes Only. Questo livello taglia fuori tutti gli altri paesi coinvolti, incluse potenze come Francia, Germania e, concediamocelo, Italia.
Nonostante, la rete Five Eyes abbia svolto e svolga ancora una funzione essenziale nella prevenzione del terrorismo, sembra sia andata anche oltre e sia stata utilizzata anche per altre finalità non propriamente di sicurezza.
Il terrorismo ha ripetutamente e duramente colpito Russia e Cina. Questo legittimerebbe Mosca e Pechino a invocare la prevenzione della minaccia terroristica per giustificare la loro assertività cibernetica e tecnologica. Un’assertività abbastanza smodata, in verità.
Cyber spionaggio, ultima frontiera della competizione globale
Quanto alla presunta penetrazione e sottrazione di dati sensibili, azioni chiaramente ostili, occorre prendere atto che il cyber spionaggio è l’ultima frontiera della secolare competizione per il potere globale tra vari soggetti, statuali e non. In passato il potere era centrato sull’industria pesante. Successivamente sul controllo delle fonti energetiche. Più di recente su quello dei flussi finanziari. Adesso è il controllo delle informazioni e dei dati ad essere diventato strategico.
Bisogna anche qui sfuggire dal riflesso eccezionalista, secondo cui è tollerabile che questi dati vengono acquisiti, accumulati e stoccati dai giganti occidentali come Google, Facebook, Amazon, Apple – peraltro sospettati di condividerli con il Governo statunitense. Invece, se invece lo fanno altri, diventa riprovevole.
Quanto alle finalità vere o presunte di tale raccolta, anche qui si potrebbe discutere sterilmente all’infinito, senza tuttavia dimenticare la fondamentale lezione impartita dal caso Cambridge Analytica.
Il fermo della numero 2 di Huawei. E se la Cina avesse arrestato l’AD di Apple?
Venendo alla cronaca, l’arresto in Canada di Meng Wanzhou, numero due del gigante cinese Huawei per l’asserita violazione delle sanzioni unilaterali Usa contro l’Iran impone una considerazione che si spera non appaia troppo provocatoria.
Come avrebbe reagito l’Occidente se la Russia avesse adottato sanzioni unilaterali contro l’Ucraina? E se il CEO della Apple, Tim Cook, fosse stato arrestato mentre era in transito a Pechino sulla base di un mandato di cattura spiccato dalla magistratura russa per la loro presunta violazione?
Questa ipotesi di scuola impone una riflessione onesta. È opportuno che l’attuale clima surriscaldato si raffreddi. E che un minimo di buon senso prevalga. Le iniziative russo-cinesi vanno monitorate e, quando ostili, contrastate. Ma con intelligenza, senza lasciarsi andare ad isterismi. E, soprattutto, senza finire per credere alla propria propaganda.
Nelle relazioni internazionali va riportata la razionalità
Non sarebbe male, infine, se con modalità di gruppo si potesse estendere la psicanalisi – terapia finora riservata a soggetti individuali – anche ad intere classi politiche. Quella occidentale, infatti, sembra in preda ad una crisi di nervi.
Ne beneficerebbero la comprensione delle ragioni altrui e la tolleranza reciproca. Di questi tempi, non guasterebbe di certo.