L’incontro a Pechino fra il leader della Corea del Nord Kim Jong Un e quello cinese Xi Jinping rimette al centro delle relazioni internazionali il tema del nucleare nordcoreano.
L’incontro a sorpresa a Pechino fra il leader della Corea del Nord Kim Jong Un e quello cinese Xi Jinping rimette al centro delle relazioni internazionali il tema del nucleare nordcoreano. Poiché per ora si può disporre soltanto di poche notizie, appare utile fare un inquadramento del problema.
Nucleare, risposta ai problemi strategici della Corea del Nord
La questione nucleare nordcoreana trae origine dal collasso del blocco sovietico, che ha posto due problemi strategici alla Corea del Nord. Politico e di sicurezza, legato al suo crescente isolamento internazionale, il primo. Economico, perché il collasso dei sistemi comunisti ha privato Pyongyang dell’energia a prezzi calmierati che le forniva l’Unione Sovietica, il secondo.
Il lancio del programma nucleare militare e civile nordcoreano voleva rispondere a questo duplice problema: cristallizzare il dominio del regime e della dinastia dei Kim sul Paese e ridurne la dipendenza energetica.
Il costo di questo investimento è stato sopportato dalla popolazione, che vive tuttora una situazione drammatica. Nella migliore tradizione comunista, terrore e fame erano e restano i principali strumenti utilizzati dal regime di Pyongyang per tenere la popolazione sotto controllo.
Un gioco continuo di azioni e reazioni
Fin dal suo avvio al termine degli anni ’80 del XX secolo, il programma nucleare nordcoreano ha dato vita ad una girandola di colpi di scena, in un gioco continuo di azioni e reazioni.
Nel 1993, la Corea del Nord ha annunciato il suo ritiro dal Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp), che consente lo sviluppo di programmi civili, ma non militari. Nel 1994, gli Stati Uniti hanno intensificato le pressioni sul regime e Pyongyang ha accettato di abbandonare il programma e rientrare nel TNP in cambio di assistenza nello sviluppo di centrali ad acqua leggera.
L’avvento di Bush nel 2000 ha portato a un nuovo raffreddamento dei rapporti. Washington accusava Pyongyang di sviluppare un programma di arricchimento dell’uranio. I nordcoreani respingevano le accuse, confermando di averne in corso uno di arricchimento del plutonio. La Corea del Nord espelleva gli ispettori Aiea nel 2002 e si ritirava nuovamente dal Tnp nel 2003.
Il programma nucleare, figlio della percezione di insicurezza della Corea del Nord
La questione nucleare nordcoreana non è militare ma politica ed è legata alla percezione di insicurezza della Corea del Nord, che teme il dispositivo militare americano schierato nella penisola coreana.
Pyongyang accusa gli Stati Uniti di aver dislocato armi nucleari in Corea del Sud. E, a dire il vero, Washington si è sempre rifiutata di far ispezionare le proprie basi militari dall’Aiea. La Corea del Nord giustifica pertanto il suo programma nucleare militare come una garanzia contro un eventuale attacco americano. E si dice disposta a rinunciarvi in cambio di un ritiro delle forze Usa dalla Corea del Sud.
A seguito di un nuovo ciclo di negoziati a sei fra Corea del Nord, Corea del Sud, Stati Uniti, Cina, Giappone e Russia, nel 2005 Pyongyang ha accettato di rinunciare al nucleare militare in cambio dell’accesso a quello civili ed a garanzie circa la propria sicurezza da parte degli Stati Uniti.
Le potenze non riescono a convergere su un obiettivo comune
Le difficoltà negoziali sono causate dalla mancata convergenza su un obiettivo comune. Da un lato, Cina, Giappone, Russia e Corea del Sud avevano per scopo di dissuadere la Corea del Nord a dotarsi di armi nucleari. Dall’altro, pur proclamando ufficialmente lo stesso obiettivo, diversi indizi indicano che in realtà gli Stati Uniti non hanno mai definitivamente rinunciato all’opzione del regime change a Pyongyang.
Per i suoi effetti destabilizzanti, un cambio di regime in Nord Corea è uno scenario assai temuto. Dalla Corea del Sud, che ne paventa il costo economico e le possibili tensioni con la Cina, con cui si troverebbe ad avere una frontiera comune. Dal Giappone, che non ha interesse alla nascita di un colosso economico e militare coreano, alleato degli Stati Uniti.
Nel 2005 ha avuto inizio una spirale di sanzioni finanziarie e condanne dell’Onu. A questa ha fatto da contraltare il moltiplicarsi di test balistici e nucleari della Corea del Nord. Nel 2006 Pyongyang ha condotto il suo primo test nucleare, nel 2009 il secondo, nel 2013 il terzo. Nel 2016, è il turno di due test con bombe all’idrogeno, seguiti da un altro nel 2017.
Il mantenimento dello status quo nella penisola coreana conviene a tanti
La crisi nordcoreana è per molti versi il riflesso di un quadro politico in cui in fondo tutte le potenze guardano con preoccupazione ad un cambiamento dello status quo.
Il regime della Corea del Nord non può non temere un possibile, rapido disgelo, che lo porterebbe a perdere i propri privilegi e – con ogni probabilità – qualcosa di più.
Cina e Giappone non vedono con favore la prospettiva di una “Super Corea” riunificata, la cui potenza militare ed economica finirebbe inevitabilmente per riverberarsi sugli equilibri regionali.
A ben vedere, l’entrata in scena di una “Super Corea” cambierebbe l’equazione politica non solo nello scacchiere estremo orientale ma anche nel Pacifico, aprendo una serie di incognite troppo lunga anche per gli Stati Uniti.
Oltre che alle reazioni degli altri Paesi della regione, la Corea del Sud, alla luce della pregressa esperienza della Germania non può non guardare con preoccupazione ai costi di una riunificazione del Paese. Costi gravosi sul piano economico e potenzialmente destabilizzanti su quello sociale.
Il vertice Xi-Kim ristabilisce il ruolo centrale della Cina in Asia
In questa cornice, le prospettive aperte dall’incontro fra Kim Jong Un e Xi Jinping sono molteplici. Il quadro statico sopra tratteggiato potrebbe mettersi in moto e subire evoluzioni anche radicali.
Innanzi tutto il ventilato summit Trump-Kim, forse già in aprile, sarebbe un fatto politico senza precedenti. Un’inaspettata opportunità per aprire un canale di dialogo diretto che metta sul tavolo negoziale le esigenze vitali della Corea del Nord: sicurezza e sviluppo economico.
Con l’incontro Kim-Xi, la Cina ha riaffermato al mondo di essere il protagonista del teatro estremo orientale. E che se gli Stati Uniti hanno questioni da sistemare in quell’area devono passare da Pechino. Se, come ipotizzano alcuni, il pacchetto delle questioni sul tappeto sarà allargato anche ai rapporti commerciali Washington-Pechino non si tarderà a scoprirlo.
Che il momento sia delicato e che ogni potenza misurerà i propri passi lo si comprende anche dalle dichiarazioni di apertura di Trump a un incontro con Kim. Trump però, contemporaneamente al premier nipponico, Shinzo Abe, ha ribadito che per ora le sanzioni a Pyongyang restano in piedi.
La posta in gioco: la denuclearizzazione della penisola coreana
Se tutti gli attori sapranno recitare la propria parte con equilibrio, la vera posta in gioco rimane la denuclearizzazione della penisola coreana. La rinuncia della Corea del Nord al nucleare militare in cambio di assicurazioni circa il ritiro delle armi nucleari Usa dalla Corea del Sud e la garanzia di un sostegno al proprio sviluppo economico.
Troppo presto, per ora, dire se le assicurazioni economiche prevederanno il nucleare civile, pacchetti di aiuti, energia a basso costo o un loro mix.
Una cosa è certa: nella questione nordcoreana tutto ruota intorno all’interesse. Tutto è legato alla sicurezza e allo sviluppo economico.