Italia e modello Cina, cui prodest Coronavirus?

Piuttosto che guardare alla Cina, occorre una riforma costituzionale che dia all'Italia istituzioni più efficienti e più responsabili verso i cittadini. E dunque più legittime.

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Oggi la competizione fra civiltà vede da un lato la Cina confuciana dove i doveri, funzionali al successo della comunità, primeggiano sui diritti individuali. Dall’altro, l’Occidente, dove i diritti delle minoranze sembrano prevalere sull’interesse comune e dove la politica si smarrisce all’inseguimento di un effimero consenso. Piuttosto che guardare a Pechino, sarebbe meglio che l’Italia riveda il rapporto fra cittadini e istituzioni.

Modello CinaLa competizione internazionale è anche tra diversi modi di intendere politica, economia, cultura, società, individuo, diritti. Tra differenti capacità di proporsi come un modello di società e sviluppo per gli altri Stati.

In altri termini, si tratta di una sfida fra modelli di civiltà, intorno ai quali si ordina la comunità internazionale. Tanto più un modello ha successo, tanto più esercita una forza di attrazione centripeta su attori terzi, che finiscono nella sua orbita politica.

La qualità di un modello politico è data dalla sua capacità di affrontare la contingenza, che è tragedia

Di qui l’importanza che le grandi potenze annettono ai progetti di integrazione regionale, alle alleanze, alla diplomazia culturale, al soft power. Tutte attività che in ultima analisi sono alla base di progetti “federatori” e ordinatori.

Il vero banco di prova di un modello politico è la sua capacità di affrontare e regolare la contingenza. Il modello viene sottoposto a stress e spinto all’estremo delle sue capacità da eventi di natura tragica. Le guerre, innanzi tutto. E poi i disastri naturali, le crisi economiche, le epidemie, il terrorismo, le carestie. Fenomeni che non di rado si verificano contemporaneamente. E che, se non governati con efficienza, possono portare alla distruzione del modello.

Questa è stata la logica ultima delle guerre puniche. La prima guerra fra Roma e Cartagine, iniziata nel 264 a.C., aveva per posta il controllo della Sicilia: un obiettivo tutto sommato limitato. Tuttavia, col tempo il conflitto assunse la natura di una lotta per l’esistenza. Nel 146 a.C., al termine della terza guerra punica, i romani rasero Cartagine al suolo. Ne abbatterono le mura e distrussero il porto. Vendettero come schiavi oltre 50.000 cartaginesi. In una tempesta di ferro e di fuoco Roma metteva le basi per la costruzione dell’impero, Cartagine usciva dalla storia. Questa è la dimensione tragica del politico.

La competizione internazionale è sfida fra modelli di civiltà

La storia umana è e sarà sempre anche una sfida fra modelli di civiltà. Lo fu lo scontro fra impero persiano e città-stato elleniche, alla cui vittoria dobbiamo la nostra Europa, la nostra cultura, la nostra concezione dell’uomo e dei suoi diritti. Lo era la Guerra Fredda. Lo è ancora, per alcuni versi, il confronto fra Europa e Turchia.

Ancora oggi, nel XXI secolo, la competizione fra modelli di civiltà è un prisma attraverso cui leggere la polarità Oriente-Occidente.

Da un lato, la Cina confuciana dove i doveri, funzionali al successo della comunità, primeggiano sui diritti individuali. Dall’altro, l’Occidente, dove i diritti, quando non i capricci, tendono a prevalere sull’interesse comune. Dove il potere esecutivo, che ha la responsabilità dei destini della nazione, è sempre più ostaggio di minoranze illegittime e chiassose. Dove la politica è al perenne inseguimento di un effimero consenso.

Coronavirus, il vero significato del “Modello Cina”

Lo stress test del Coronavirus – un virus che ha le caratteristiche della guerra batteriologica, che come ogni strumento militare non ha lo scopo di uccidere ma di incapacitare il nemico – vede oggi prevalere la Repubblica Popolare Cinese.

La Cina ha dimostrato che il covid-19 – che ha percorso esattamente il tracciato della sua Belt and Road – è stato vinto dal suo sistema. E che invece sta incapacitando il nostro.

Perché per molti esponenti dell’establishment della Repubblica Popolare Cinese il nostro rimane un sistema governato dai baizuo.

L’establishment italiano non comprende la dimensione tragica della politica

A ben vedere, davanti alla sfida del Coronavirus all’Italia dei baizuo è mancata la comprensione della dimensione tragica della storia e della politica. Un grave limite, questo, che accomuna ampia parte della classe dirigente nazionale.

Limite di un governo irresponsabile, ma anche di inerti vertici della p.a. Di certa stampa, avvitata su sé stessa quando non assoggettata alla politica. Di uno screditato establishment culturale, che invece di svolgere un ruolo di avanguardia si è dato la missione di indottrinare gli italiani con tesi ideologiche e avulse dalla realtà. E poi, ci sono le sardine a alzare il livello del dibattito.

Davanti a questo desolante panorama nazionale, la crisi del Coronavirus insegna che occorre cambiare rotta, pena altre catastrofi. La contingenza non ha bisogno di invito per bussare alla porta. Né tantomeno si fa annunciare.

Perché la Cina non è un modello

Tuttavia, la Cina non è un modello cui ispirarsi. Una delle cause della pandemia è da ricercarsi proprio nel ritardo e nell’opacità con cui Pechino ha informato la comunità internazionale. Tipica opacità comunista, che presenta sinistre analogie con quella dell’Urss in occasione del disastro di Chernobyl.

Per le stesse ragioni, è lecito dubitare delle statistiche ufficiali di Pechino, che ha lanciato una poderosa campagna di public diplomacy proprio per ripulirsi la reputazione.

Tenuto conto di queste circostanze, chi a Palazzo Chigi e alla Farnesina – oltretutto senza avere la minima comprensione dei giganteschi equilibri geopolitici in gioco – ammicca oggi alla Cina nel dilettantesco tentativo di inventarsi una nuova diplomazia dei due forni sta giocando col fuoco.

Conte bis, lo scaricabarile sugli italiani

Vi sarebbero da fare diverse considerazioni circa le responsabilità penali e civili connesse all’attuale catastrofe. Non essendo questa la sede, né tantomeno – ancora – il tempo, basti rilevare che nella gestione della crisi da parte del governo Conte vi è molto più materiale per Procure e studi legali che in altre vicende, quali ad esempio il “caso Gregoretti”.

In questa cornice, urta il maldestro tentativo dell’esecutivo di giocare a scaricabarile con gli italiani, che non rispetterebbero la consegna di stare a casa. Eppure, secondo i dati del Viminale, il 95% dei cittadini controllati erano in regola. Del resto, confinare tutti gli italiani a casa non mira a sconfiggere l’epidemia, ma a diluirla nel tempo affinché i malati non si rechino contemporaneamente negli ospedali e li saturino. Non è una misura medica, ma una misura amministrativa, dettata dal panico del governo, consapevole di aver chiuso la stalla quando i buoi erano ormai scappati. Gli scandalosi dati dei contagi fra il personale medico, mandato a combattere il virus a mani nude, sono lì a confermarlo.

Sconcerta, poi, l’incessante stillicidio di decreti e punti stampa negli orari più improbabili, la cui sincronia con i bollettini dei decessi ne tradisce la natura propagandistica.

L’etica imponeva al governo Conte di mettere la salute pubblica sopra tutto

Molti esponenti politici che fanno capo all’attuale esecutivo, quando era ancora in tempo ad adottare le misure necessarie a tutela degli italiani, hanno invece scelto di strumentalizzare l’emergenza inventandosi l’ennesimo, vuoto allarme “razzismo”.

È dunque evidente che la catastrofe Coronavirus pone anche un problema morale: vi è un giustificato dubbio circa un’assenza di etica pubblica nell’azione del governo Conte, che avrebbe dovuto anteporre la difesa della salute pubblica a ogni altra considerazione. Non, come invece ha fatto, sprecare tempo prezioso a indirizzare accuse offensive all’opposizione.

Conte-M5S-Pd, responsabili di una rottura istituzionale senza precedenti

Che il governo Conte stia navigando a vista è dimostrato anche dalla circostanza che da settimane sta agendo oltre i limiti fissati dalla Costituzione, provocando così una rottura istituzionale senza precedenti per gravità e durata.

Primo: l’esecutivo ha di fatto messo l’Italia ai domiciliari, limitando in una misura mai vista nella storia repubblicana libertà personale, libertà di circolazione e libertà di iniziativa economica. Limitazioni delle libertà di cui – si badi bene – non si intravede la fine. Secondo: governando a colpi di regolamenti e scavalcando le Camere e il Quirinale, il Conte bis sta infliggendo un grave vulnus all’impianto normativo posto dal costituente a garanzia dei diritti dei cittadini. Per i casi di straordinaria necessità e urgenza, la Costituzione prevede infatti lo strumento del decreto-legge che, non caso, perde la sua efficacia se il Parlamento non lo converte in legge entro 60 giorni. Terzo: il governo continua a non riferire al Parlamento sul suo operato.

Tutti temi, questi, cui si aggiunge il mefitico clima da regime che l’esecutivo sta creando, che andrebbero messi al centro del dibattito al termine della crisi. E che, quando matureranno i tempi, dovrebbero essere oggetto di una commissione parlamentare d’inchiesta.

L’Italia ha bisogno di istituzioni più efficienti e più responsabili verso i cittadini. E quindi più legittime

Guardando all’avvenire, non è il caso di morire da baizuo.

Occorre opporsi alla dittatura liberticida del politicamente corretto, incarnata da ultimo da un Fabio Fazio. Essendogli sfuggito che il governo Conte ha tramutato ogni uscio in confine, questo principe del buonismo ha di recente prodotto il seguente, epocale contributo intellettuale: “mi sono reso conto che i confini non esistono e che siamo tutti sulla stessa barca. (…) e dal momento che siamo tutti sulla stessa barca, è meglio che i porti, tutti i porti, siano sempre aperti. Per tutti”. La maschera e il volto.

Soprattutto, piuttosto che diventare cinesi, occorre una riforma costituzionale che dia finalmente all’Italia istituzioni più efficienti e più responsabili verso i cittadini. E dunque più legittime. Lo fece nel 1958 la Francia di De Gaulle, archiviando la Quatrième République, che aveva un’architettura istituzionale simile a quella disegnata dalla Costituzione italiana del 1947.

La catastrofe in atto non dimostra solo che i tempi sono maturi. È, soprattutto, un tragico segnale d’allarme: per continuare a stare con dignità sul palcoscenico della storia l’Italia non può permettersi altri Conte bis.

 

(a cura di C.D. Ambasciatore a r.)

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