Asilo ai terroristi italiani, la politica della Francia è ancora da decifrare

Terrorismo, per rafforzare la Francia in Europa Macron ha bisogno di chiudere dolorose pagine del passato, che continuano a proiettare ombre sui rapporti con i partner europei. Tuttavia, una leadership europea si costruisce su valori comuni, progetti condivisi, rispetto reciproco. Sono tanti i dossier che aiuteranno a capire se la nuova linea della Francia è autenticamente europea oppure se cela ambizioni di natura nazionale.

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Il terrorismo rosso torna sul tavolo dei rapporti italo-francesi. Nei giorni scorsi, su richiesta italiana la Francia ha messo in stato di fermo sette terroristi italiani residenti nel paese transalpino. Altri tre protagonisti degli anni di piombo si sono inizialmente sottratti all’arresto. Di questi, due si sono in seguito costituiti, mentre il terzo, datosi alla macchia, approfitta ora della scadenza della prescrizione.Terrorismo

Il terrorismo rosso, responsabile di reati di assoluta gravità

I fermati sono esponenti di spicco del terrorismo rosso che ha insanguinato l’Italia negli anni ’70 e ’80. Terroristi condannati in via definitiva per reati gravissimi, fra cui svariati omicidi: di politici, magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine, dirigenti d’azienda e comuni cittadini.

Gli arrestati sono: Giovanni Alimonti, Brigate Rosse (pena 11 anni, 6 mesi e 9 giorni); Enzo Calvitti, Brigate Rosse (18 anni, 7 mesi e 25 giorni); Roberta Cappelli, Brigate Rosse (ergastolo); Marina Petrella, Brigate Rosse (ergastolo); Giorgio Pietrostefani, Lotta Continua (14 anni, 2 mesi e 11 giorni); Sergio Tornaghi, Brigate Rosse (ergastolo); Narciso Manenti, Nuclei Armati Contropotere Territoriale (ergastolo).

Nei giorni successici si sono costituiti Luigi Bergamin (Proletari armati per il comunismo) e Raffaele Ventura (Formazioni comuniste combattenti). Resta latitante Maurizio Di Marzio (Brigate Rosse).

L’incontro Cartabia-Dupond-Moretti, punto di svolta

Il problema della protezione accordata da Parigi ai terroristi italiani era stata affrontata durante l’incontro dei ministri della Giustizia Marta Cartabia e Eric Dupond-Moretti tenutosi lo scorso 8 aprile.

Durante i colloqui, la Cartabia aveva sottolineato l’estrema attenzione prestata dall’Italia a questo tema e l’urgenza di definire la questione prima che per alcuni dei terroristi scattasse la prescrizione. Convenendo sull’esigenza di “fare presto”, Dupond-Moretti aveva annunciato che avrebbe sollevato la questione con il presidente Macron.

Da quel momento, il dossier ha avuto una forte accelerazione. Su impulso dell’Eliseo, l’esecutivo transalpino ha trasmesso le richieste di estradizione alla Procura generale, che si è attivata.

Il ruolo decisivo di Macron

Parigi ha chiarito che il dossier trasmesso alla Procura generale, denominato “Ombre rosse“, si basa su una richiesta italiana che in origine riguardava 200 latitanti ed è il frutto di un “lavoro preparatorio bilaterale durato diversi mesi”.

Secondo l’Eliseo, il documento è coerente con la “dottrina Mitterrand” del 1985, che concedeva asilo ai brigatisti che non si fossero macchiati di reati di sangue.

La decisione è stata presa ai massimi livelli. Lo stesso Eliseo ha confermato che Macronha voluto risolvere la questione come l’Italia chiede da anni“.

Terrorismo rosso, storica inversione di rotta della Francia

L’impressione è che si è davanti all’avvio di una nuova fase. Dal 1981 la Francia ha firmato solo due decreti di estradizione, entrambi sotto Jacques Chirac. Nel 1995 quello di Paolo Persichetti, poi estradato nel 2002. Nel 2004 quello di Cesare Battisti, il quale riuscì tuttavia a fuggire in Brasile, proprio grazie alla complicità di esponenti politici e dell’intelligence francese.

La linea del presidente francese va ben oltre l’esigenza di rendere giustizia alle famiglie delle vittime, anche se l’Eliseo ne ha fatto cenno: “la Francia, anch’essa colpita dal terrorismo, comprende l’assoluto bisogno di giustizia delle vittime”.

Quella di Macron è soprattutto una decisione politica con cui la Francia opera un’inversione di rotta nella gestione dei terroristi italiani.

La politica estera francese ha per obiettivo di impedire il rafforzamento dell’Italia

La tradizionale linea di non collaborazione di Parigi merita una spiegazione. Fra i suoi obiettivi di politica estera, la Francia ha quello di impedire un riequilibrio dei rapporti italo-francesi a vantaggio dell’Italia. Questo sia in Europa, sia nel Mediterraneo, dove gli interessi di Parigi e Roma sono talvolta in contrasto.

Questa linea si sostanzia in primis in campo politico. L’attualità internazionale è ricca di esempi di iniziative della Francia volte a indebolire a suo vantaggio le posizioni italiane in scacchieri strategici. È in questa chiave che va interpretata la politica transalpina in Libia. Sia circa il contributo decisivo dato alla caduta di Gheddafi. Sia per quanto concerne il sostegno a Haftar.

Parimenti, in campo economico Parigi è ostile all’acquisizione di compagnie francesi da parte di aziende italiane, come insegnano il caso Enel-Suez o il più recente Fincantieri-Stx. Il contrario, invece, è considerato naturale, anche in comparti strategici come banchetelecomunicazioni. Inoltre, Parigi è determinata ad assicurare alle aziende francesi il controllo dei progetti industriali congiunti, anche per mezzo di quote azionarie detenute dallo Stato.

Il sostegno al terrorismo italiano, oscura politica di Stato francese

Secondo alcuni osservatori, c’è tuttavia un campo più oscuro in cui in passato la Francia avrebbe agito per indebolire l’Italia: manovrare i gruppi terroristici italiani.

In base a questa chiave di lettura, agendo sull’intensità dell’attività eversiva dei gruppi terroristici, la Francia li utilizzava come “regolatori” del livello di tensione interna dell’Italia, minandone la coesione.

Questo non solo spiegherebbe, almeno in parte, la genesi della “dottrina Mitterrand“, la quale sottraendo i terroristi alla giustizia italiana avrebbe impedito a quest’ultima di fare piena luce sui collegamenti transalpini dell’eversione in Italia.

Un filo rosso lega la Francia all’eversione italiana

Nel 1970 si scioglie il gruppo estremista Collettivo Politico Metropolitano guidato da Duccio Berio, Vanni Mulinaris, Corrado Simioni, Renato Curcio, Alberto Franceschini e Mario Moretti.

Gli ultimi tre entrano nelle Brigate Rosse. Berio, Mulinaris e Simioni si trasferiscono invece a Parigi dove nel 1974 fondano la scuola di lingue Hyperion in Quai de la Tournelle, 27.

Hyperion diverrà il nucleo essenziale” di una ““struttura internazionale” del terrorismo, con sede a Parigi, avente il compito di coordinare le azioni dei vari gruppi eversivi operanti in Europa (Ira, Eta, Napap, Raf), al fine di inquadrarle in un unico processo di destabilizzazione dell’Alleanza Atlantica e delle democrazie occidentali”. Questa “centrale” del terrorismo verrà letteralmente “infiltrata dai servizi segreti di tutto il mondo”.

Livelli superiori e “attacco al cuore dello Stato”

Audito in Commissione Stragi, Alberto Franceschini riferirà che lui e Curcio ritenevano “troppo violento” il gruppo dei fondatori di Hyperion, soprannominato “Superclan“, ossia “superclandestino”.

Sorta di livello superiore occulto, il Superclan avrebbe negli anni mantenuto uno stretto rapporto con Moretti, principale esponente dell’ala “dura” brigatista.

La partenza di Berio, Mulinaris e Simioni per la Francia precede di poco una vicenda che segnerà uno spartiacque nella storia del terrorismo in Italia. L’8 settembre 1974, i leader Br Curcio e Franceschini vengono arrestati. Con la loro uscita di scena Moretti assume la guida delle Brigate Rosse, segnando l’escalation della violenza brigatista fino all'”attacco al cuore dello Stato“.

Mettere a fuoco il ruolo francese nell’eversione in Italia

Questi cenni storici illustrano bene l’ambiguità della Francia nei confronti dell’eversione italiana. Nella più benevola delle ipotesi, è difficile credere che le autorità transalpine non avessero contezza della presenza e delle attività delle diverse organizzazioni terroriste sul suolo francese.

Del resto la circostanza che, come già Battisti nel 2004, anche questa volta tre terroristi siano riusciti a sottrarsi all’arresto induce a pensare che abbiano ricevuto qualche “soffiata”. Un’ipotesi incresciosa che suggerisce che ancora oggi i terroristi italiani godono di appoggi nello stato profondo francese.

La tesi secondo cui gli arresti non contribuiranno a fare luce sugli anni di piombo non è quindi condivisibile. Al contrario, anche se eventuali risultanze non diventeranno di dominio pubblico, l’estradizione di un buon numero di protagonisti di quell’epoca potrebbe rivelarsi utile per gli apparati di informazione per mettere a fuoco il ruolo della Francia nell’eversione in Italia.

Macron guarda alle elezioni presidenziali del 2022

Alla luce di quanto precede, occorre chiedersi quali obiettivi il capo dello Stato francese intende perseguire.

Il primo obiettivo è di politica interna. Nel 2022 in Francia si terranno le elezioni presidenziali. Al momento, la rielezione di Macron non è scontata. La pandemia ha dato una momentanea tregua al governo francese sul fronte del disagio sociale, ma il fuoco sotto la cenere appare tutt’altro che spento. Inoltre, fra i grandi paesi europei, oggi la Francia è quello con più problemi di coesione sul piano etnico.

In vista dell’appuntamento elettorale, l’Eliseo potrebbe aver voluto dare un segnale di fermezza agli elettori francesi, scossi dalla catena di attentati di matrice islamica che ha flagellato il loro paese negli ultimi anni e che sembra non avere fine.

La collaborazione con l’Italia nel campo dell’antiterrorismo

Il secondo obiettivo, legato al primo, è di sicurezza. Un’efficace attività antiterrorismo non può prescindere da una costante e leale collaborazione internazionale. In questo campo, come dimostrano i suoi risultati, in Europa l’Italia è maestra.

Roma è un modello per la qualità delle forze dell’ordine e degli apparati di intelligence. Per la capacità di “ascolto” e per il controllo del territorio. Lo è, anche, ai fini del contrasto al terrorismo islamico, per la sua collaborazione con i paesi del Mediterraneo e Medio Oriente, che la considerano un partner affidabile e meno “invadente” di Parigi.

Logico, quindi, che la Francia consideri molto preziosa la collaborazione italiana. Preziosa al punto da mettere sul tavolo i latitanti già protetti dalla “dottrina Mitterrand”.

Sullo sfondo, la sfida per la nuova leadership europea

Vi è, infine, l’obiettivo della leadership europea. Dopo il cataclisma Brexit, l’Unione europea dovrà affrontare anche l’uscita di Angela Merkel da una scena che occupa da oltre 15 anni.

Al riguardo, gli scenari post-elettorali in Germania non sono chiari. Inoltre, il nuovo cancelliere avrà bisogno di tempo per consolidare la sua posizione internazionale.

Di conseguenza, da un lato, sul piano bilaterale, Parigi potrebbe cogliere l’opportunità per tentare di riequilibrare l’asse franco-tedesco, strutturalmente squilibrato a vantaggio di Berlino. Dall’altro, a livello continentale si stanno aprendo spazi politici che la Francia vuole occupare.

La nuova linea francese andrà testata

È attraverso questo prisma che vanno interpretate le parole di Macron secondo cui gli arresti rientrano “nella logica della necessità imperativa di costruire un’Europa della giustizia, in cui la reciproca fiducia sia al centro”. Per rafforzare la Francia in Europa, Macron ha bisogno di chiudere definitivamente dolorose pagine del passato, che continuano a proiettare ombre sui rapporti del presente.

In questa prospettiva, l’impiego del termine “fiducia” non appare casuale. Una leadership europea non si costruisce imponendo agende unilaterali. Servono valori comuni, progetti condivisi, rispetto reciproco. Tutti fronti sui quali, in ultima analisi, Angela Merkel ha fallito l’appuntamento con la storia.

Sono diversi i dossier europei sui quali si potrà testare l’impegno di Parigi. Se sul problema della scarsa crescita economica gli interessi francesi coincidono più con quelli italiani e dei paesi del sud Europa, Parigi resta nondimeno maestra di guerra economica. Sarà dunque in primis l’atteggiamento su svariati progetti industriali sul tavolo a chiarire se la nuova linea della Francia è autenticamente europea oppure se cela ambizioni di natura nazionale.

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