Coronavirus, per l’ex ambasciatore italiano la colpa dei contagi in Brasile è di Bolsonaro

Per l'ex ambasciatore d'Italia a Brasilia, la colpa della pandemia in Brasile sarebbe di Bolsonaro. Una goffa caduta di stile oppure un appello alla sinistra per ottenere nuovi incarichi?

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Valensise Bolsonaro

L’Huffington Post ha pubblicato un articolo sulla pandemia da Covid-19, la cui stravagante tesi è che il Brasile starebbe “pagando un prezzo altissimo per la sconcertante linea negazionista dei rischi imposta dal presidente Bolsonaro”.Valensise Bolsonaro

Per Valensise la colpa del Covid-19 in Brasile è di Bolsonaro

L’autore del pezzo, l’ambasciatore a riposo Michele Valensise, sottolinea che il Brasile è il secondo paese al mondo per morti di Coronavirus (76.688 al 16 luglio). Peccato che ometta la circostanza che, con 210 milioni di abitanti, il Brasile è anche il secondo paese più popoloso d’America dopo gli Usa.

E dire che questi dati Valensise li dovrebbe conoscere, essendo stato ambasciatore d’Italia a Brasilia. Adottando il suo metro si dovrebbe concludere che l’Italia, con 36.000 morti su 60 milioni di abitanti, ha fatto molto peggio.

Dopo varie considerazioni di analogo tenore, il commento finale di Valensise è che la diffusione della pandemia nel più popoloso paese del Sudamerica è dovuta al fatto che il Brasile sia governato dal sovranista Bolsonaro, “che si affida a Dio e all’idrossiclorichina per combattere il contagio”.

La ricostruzione di Valensise appare faziosa e superficiale

Le frasi di Valensise contravvengono al più elementare bon ton diplomatico, che impone riserbo e prudenza nel commentare in pubblico la politica dei paesi nei quali si è prestato servizio. A maggior ragione se da capo missione, come nel suo caso. Anche se ad esprimersi è un ambasciatore ormai in pensione, il rischio di incidenti diplomatici è sempre dietro l’angolo.

Inoltre, l’ambasciatore a riposo omette un altro dato: la dilagante corruzione dell’epoca di Lula e della Rousseff, che ha lasciato il Brasile senza strutture sanitarie efficienti.

Quel Lula – “autorevole”, secondo l’ambasciatore a riposo – e quella Roussef che, anche durante il mandato dello stesso Valensise a Brasilia, hanno sempre sdegnosamente respinto al mittente le richieste di estradizione del pluri-assassino Cesare Battisti, offendendo l’Italia e le sue leggi. Estradizione, per inciso, concessa poi proprio da Bolsonaro.

La carriera di Valensise, all’ombra degli Agnelli e della sinistra

Sotto quest’ultimo profilo, i risultati di Valensise a Brasilia sono tutto fuorché memorabili. Eppure, la sua carriera è stata prestigiosa. Segretario generale degli Esteri nel 2012-2016 e, in precedenza, ambasciatore d’Italia a Berlino.

Fra i diplomatici si fa risalire la sua ascesa al periodo precedente, quando ha svolto con particolare zelo l’incarico di portaborse del sottosegretario agli Esteri Susanna Agnelli.

Ma soprattutto, Valensise ha dovuto mondarsi di un peccato originale. Non si dimentichi che il padre è stato un importante esponente politico missino. Di qui l’ansia di distanziarsi ostentatamente dalle radici politiche familiari. Piddino con il Pd. Montiano con Monti. Renziano con Renzi.

Fu una “congiura diplomatica” quella che costrinse Valensise a un esilio nel privato

Tutto preso a ingraziarsi la politica, si è dimenticato di guardarsi le spalle in casa. Nel 2016 fu defenestrato da una “congiura” ordita da altre feluche. Gli fu addossata da alcuni influenti colleghi la responsabilità della selezione fatta a cavallo fra 2015 e 2016 del rappresentante permanente italiano presso l’Unione europea. Come riportano le cronache, l’incarico finì per andare a Carlo Calenda invece che, come da consuetudine, a un diplomatico.

Secondo quanto si mormorava nelle ovattate stanze della Farnesina, però, a Valensise sarebbe stato fatto credere che non vi fossero candidature. A sua insaputa, invece queste sarebbero state trattenute in un cassetto in un ufficio poco distante dal suo per diverse settimane: il tempo sufficiente a decidere l’impaziente Renzi a nominare Calenda. Un esito accolto dai diplomatici, giovani e meno giovani, con forti proteste – non tutte, a quanto sembra, spontanee. Valensise, rimasto con il proverbiale cerino in mano, dovette rassegnare le dimissioni.

Anche il successivo passaggio dell’ambasciatore a riposo al mondo imprenditoriale con la vice presidenza di Astaldi dal 2016 al 2018 non sembra aver portato fortuna all’azienda che, in grave dissesto, si è ritrovata sull’orlo del fallimento.

L’ambasciatore a riposo in cerca di un nuovo incarico?

Secondo alcuni, in realtà, l’ambasciatore a riposo continuerebbe a essere attratto dalle posizioni di potere. Soprattutto se ben retribuite. Per costoro, con il suo pezzo anti-Bolsonaro vorrebbe lisciare il pelo al governo Conte, in seno al quale – si sa bene – si annidano numerosi ammiratori di una certa sinistra latinoamericana, persino nella sua variante venezuelana.

In questa prospettiva, l’articolo su Huffington Post sarebbe un tentativo spregiudicato di assecondare l’odio viscerale della sinistra per l’uomo che ha relegato nell’immondezzaio della storia il fatiscente mito di Lula, il “presidente operaio”.

Insomma, l’intento di Valensise sarebbe una volta di più di ricordare ai suoi padrini (o ex padrini) che continua ad essere uomo di apparato, pronto per un nuovo incarico nel parastato o nel privato.


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