Global Compact, una resa incondizionata all’immigrazione di massa

Il Patto Globale per l'immigrazione viene presentato dai suoi sostenitori come "giuridicamente non vincolante". Tuttavia, ad un attento esame, si configura come un lungo elenco di impegni che disarma i paesi occidentali davanti all'immigrazione. Una resa incondizionata di fronte alla principale sfida del XXI secolo.

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Global Compact

Diplomazia italiana ha già proposto al lettore diverse analisi sul Global Compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare. Tuttavia, tenuto conto che finalmente anche in Italia si è acceso il dibattito sull’argomento, si ritiene di fare cosa utile nel proporre ulteriori approfondimenti.

Il Patto Globale è frutto di un progetto mondialista

Prima di entrare nel merito del contenuto del Global compact, è utile fare un cenno alla sua genesi.

I principi ispiratori del Global Compact sono stati definiti dalla Dichiarazione di New York del 19 settembre 2016 sui rifugiati e gli immigrati.

Sutherland, gli europei devono minare la loro “omogeneità nazionale”

La Dichiarazione è stata predisposta sotto la direzione dell’irlandese Peter Sutherland, dal 2006 al 2017 Rappresentante speciale per le migrazioni internazionali e lo sviluppo del Segretario Generale delle Nazioni Unite.

Nel corso del tempo, Sutherland, deceduto nel gennaio 2018, ha ricoperto diversi importanti incarichi. Tutti con un elemento in comune: far avanzare l’agenda mondialista. Commissario europeo per la concorrenza dal 1985 al 1989. Direttore generale del Wto dal 1993 al 1995. Presidente di Goldman Sachs dal 1995 al 2015. Presidente della Commissione Trilaterale. Amministratore del Gruppo Bilderberg.

Nei suoi interventi, Sutherland ha ripetutamente ribadito l’esigenza di eliminare confini e frontiere. Ha proclamato che qualunque individuo deve avere libertà di scegliere il paese dove studiare e lavorare. Ha incoraggiato gli europei a “minare la loro omogeneità nazionale”.

Tutte prese di posizione a favore di un generico diritto all’immigrazione, concepito da Sutherland come uno strumento per rafforzare la mondializzazione: dopo la libera circolazione dei beni doveva necessariamente seguire la libera circolazione delle persone.

Arbour, pasionaria immigrazionista di Soros

Il suo successore come Rappresentante speciale del Segretario Generale Onu è la giudice canadese Louise Arbour. Anche lei, come Sutherland, ha un profilo da militante.

Fra il 2009 e il 2014 ha presieduto l’Ong International Crisis Group, finanziata da diversi Stati e da generosi mecenati. Fra questi, non poteva mancare la Open Society Institute di George Soros. Quest’ultimo siede nel Board dell’Ong insieme all’ex Ministro degli esteri, Emma Bonino.

Negli anni, la Arbour ha svolto un’incessante attività di lobbying presso i decision makers internazionali per promuovere l’agenda immigrazionista. La Arbour è anche una accesa sostenitrice di una linea bellicista della Nato.

Il canadese Michael Kovrig, di recente arrestato dalle autorità cinesi in rappresaglia per il fermo in Canada della n. 2 di Huawei, è anch’egli un alto dirigente dell’International Crisis Group.

Il Patto Globale rafforza l’immigrazione economica

Con tali architetti, il Patto “per” l’immigrazione non poteva che essere immigrazionista.

Secondo l’Onu, il Patto Globale mira a “fare fronte alle sfide associate alle migrazioni di oggi e a rafforzare il contributo dei migranti e delle migrazioni allo sviluppo sostenibile”. In sintesi, lo scopo del Global Compact è rafforzare l’immigrazione economica e anche quella climatica. Altra cosa è l’immigrazione politica. Quest’ultima è oggetto del Patto Globale sui rifugiati, firmato anche dall’Italia.

Il Patto Globale per l’immigrazione ha 23 obiettivi che ad una prima lettura possono sembrare equilibrati. Il Patto indica che gli immigrati dovrebbero essere maggiormente protetti nei paesi di arrivo. Esso inoltre afferma che occorre rafforzare il contrasto al traffico di esseri umani e che gli Stati dovrebbero maggiormente collaborare per organizzare il rimpatrio degli immigrati.

Global Compact, un patto che impegna i suoi firmatari

Nondimeno, un approfondito esame del testo chiarisce subito l’ampiezza e la profondità degli impegni che incombono ai paesi occidentali, che sono la principale destinazione dei flussi migratori mondiali.

Quanto agli impegni a carico dei paesi di emigrazione, praticamente nel Global Compact non ve ne è traccia.

È stato ripetuto fino alla noia che il Global Compact è “giuridicamente non vincolante”. E, tuttavia, alla sezione “Ambizioni comuni”, al punto 13 il Patto Globale impiega ben quattro volte l’espressione “noi dobbiamo” (per esempio, “noi dobbiamo dare agli immigrati i mezzi per diventare dei membri a tutti gli effetti delle nostre società”). Il punto 15 sottolinea che il Patto è incentrato sull’individuo, in ossequio alla retorica individualista, nemica dei diritti dei popoli sovrani.

Il Patto Globale disarma l’Occidente davanti all’invasione migratoria

Il Patto elenca 23 obiettivi in modo molto dettagliato. Diversi di questi obiettivi sono formulati come veri e propri impegni, che lasciano l’Occidente disarmato fronte all’invasione migratoria.

  • Rendere più accessibili le reti di immigrazione regolare. Vale a dire, legalizzare quella che oggi è considerata immigrazione irregolare. Ciò, in particolare, accordando permessi di soggiorno agli immigrati in fuga da catastrofi naturali o dal degrado ambientale. Oppure allargando le maglie del ricongiungimento familiare (obiettivo 5).
  • Promuovere operazioni di ricerca per andare a salvare gli immigrati in pericolo (obiettivo 8).
  • Limitare l’impiego del fermo amministrativo degli immigrati (obiettivo 13).
  • Assicurare agli immigrati la piena fruizione di tutti i diritti sociali (obiettivo 16).
  • Far evolvere il modo in cui l’immigrazione è percepita: sensibilizzando i professionisti dei mezzi di informazione; cessando ogni sostegno finanziario e materiale ai media non allineati; organizzando attività “per promuovere il rispetto reciproco, in particolare durante le campagne elettorali” (obiettivo 17).
  • Facilitare le rimesse economiche verso i paesi di origine (obiettivo 20)

Il Global Compact prevede il monitoraggio della sua applicazione

Per essere “giuridicamente non vincolante”, Il Patto Globale è un documento sui generis. Infatti, nelle parti sibillinamente denominate “Implementazione” e “Seguiti e esame”, il Global Compact prevede meccanismi e procedure per monitorare lo stato della sua applicazione.

  • Ogni due anni, il Segretario Generale delle Nazioni Unite rende conto all’Assemblea Generale dello stato di applicazione del Patto (punto 46).
  • A tale fine, egli è assistito ad una rete di organismi onusiani coordinati dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (punto 45), le cui capacità sono rafforzate “dal settore privato e le fondazioni filantropiche” (punto 43).
  • Ogni anno, il Foro mondiale per la migrazione e lo sviluppo organizza una riunione ad alto livello per fare un punto “informale” sull’applicazione del Patto (punto 51).
  • Quanto agli Stati, essi sono invitati ad elaborare dei piani nazionali di applicazione del Global Compact e a sottomettersi a dei “controlli” da parte di tutte le “parti interessate”, fra le quali le Ong (punto 53).

Uno strumento di soft law, dagli effetti politici destabilizzanti

Se malauguratamente il Governo accedesse al Patto Globale, di fatto impegnerebbe l’Italia ad aprirsi a flussi migratori massicci e incontrollati.

Così come implicitamente l’Italia rinuncerebbe a difendere la propria omogeneità nazionale (per riprendere il lessico del Sutherland), giacché ai sensi del Patto gli immigrati hanno diritto a immigrare, conservando però la propria cultura.

Si tratta di un percorso che porta dritto alla costituzione di vere e proprie enclaves etniche all’interno degli Stati di accoglienza.

Soft law, ma con pesanti effetti giuridici

Con uno strumento come il Global Compact a disposizione, le Ong avrebbero gioco facile nel passare al setaccio la legislazione italiana in materia di immigrazione per contestare ogni norma in contrasto con gli obiettivi del Patto di Marrakech.

Il Global Compact avrebbe pesanti effetti sull’attività del legislatore, così come sul dibattito pubblico. Se il Patto venisse approvato, sarebbe complesso persino fare un dibattito pubblico, tenuto conto che secondo l’obiettivo 17 i media saranno “incoraggiati” a fare propaganda a favore dell’immigrazione. Restringere il ricongiungimento familiare? Viola il Global Compact! Limitare i servizi sociali per gli immigrati? Viola il Global Compact! Introdurre la preferenza nazionale? Viola il Global Compact! Limitare le rimesse per fare pressione sui paesi di emigrazione?Viola il Global Compact!

Quanto a certa magistratura, è prevedibile che non attenda altro che incunearsi nella breccia che il Global Compact finirebbe per aprire. Non necessariamente applicandone le misure. Ma senz’altro tenendone conto nel quadro dell’applicazione del diritto nazionale e di quello internazionale.

Firmare il Patto Globale è una resa incondizionata davanti alla sfida dell’immigrazione

Firmare il Global Compact equivale per l’Italia a una resa incondizionata davanti alla sfida migratoria. Quella sfida che è la vera partita politica decisiva del XXI secolo.

L’Italia sarebbe chiamata a rendere conto delle sue scelte politiche. E sottomettersi al controllo, alle raccomandazioni e alle reprimende dell’Onu e della galassia onusiana.

E si dovrebbe credere che il Patto sia nel “rispetto della sovranità nazionale”?

Davanti alle insidie del Global Compact, il Governo difenda la sovranità

L’Italia ha davanti un rischio. Concreto e visibile a occhio nudo. È quello di ritrovarsi impantanata in un misto di impotenza e di lassismo di fronte alla sfida epocale posta dall’immigrazione di massa.

Occorre dunque che il Governo metta al centro della sua azione la difesa della sovranità, che appartiene al popolo e non all’Onu o, peggio, alle Ong.


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